Nei cinema dal 27 giugno il film “Salvo” di Grassadonia e Piazza
L’incontro–scontro tra due cecità, quella fisica e quella morale che fa scaturire un miracolo. Una Sicilia mafiosa e degradata, antica e moderna. La raccontano con poche parole ma con suoni e immagini emblematici e toccanti Fabio Grassadonia e Antonio Piazza nel film Salvo, nelle sale dal 27 giugno. Protagonisti due giovani, bravissimi, Saleh Bakri e Sara Serraiocco, con gli incisivi ruoli di contorno, determinanti per dare colore e profondità alla storia, affidati all’indiscussa bravura di un ironico Luigi Lo Cascio, con Giuditta Pereira e Mario Pupella.
Un progetto di qualità che difficilmente avrebbe varcato la soglia delle nostre sale se non avesse vinto ben due premi all’ultimo festival di Cannes, nella selezionatissima Semain de la Critique. «Critica e pubblico hanno colto le nostre intenzioni, ciò che avevamo in testa da anni – raccontano gli autori -. Vari distributori di tutto il mondo si sono subito fatti avanti, in Italia ci sono voluti due premi per far uscire un film diverso». I produttori Massimo Cristaldi e Fabrizio Mosca hanno invece sposato il progetto appena letta la sceneggiatura. «Era il copione più bello letto in dieci anni, una linea di racconto forte che preannunciava la visualità del film». I registi, entrambi palermitani, si sono fatti le ossa lavorando per la tv, su progetti decisamente meno interessanti. «Poi abbiamo deciso di svilupparne uno nostro –raccontano -, tornando alla città da cui proveniamo, Palermo, trovando una scintilla particolare per raccontare una storia che ci appartiene».
Una vivida scintilla che illumina finalmente il fioco panorama del cinema di casa nostra. Una storia di mafia come tante, ma illustrata come un moderno western all’italiana, che oscilla tra il noir, la storia d’amore, la commedia grottesca, senza scadere mai negli stereotipi di certa fiction. Una storia che, senza tante parole, arriva al cuore dello spettatore, emoziona, fa porre domande. Salvo è un killer di mafia solitario e spietato. Entrato in casa di un nemico che deve far fuori s’imbatte nella sorella della vittima, cieca dalla nascita che ritroverà miracolosamente la vista. Lui le risparmierà la vita, la metterà al riparo, infrangendo i codici del mondo malavitoso che considera pericolosi l’amore e la libertà.
«Un miracolo dove i miracoli non accadono. È ancora possibile?» Si sono chiesti Grassadonia e Piazza, che sono partiti da questa domanda per dare un senso alla storia di Salvo. «Palermo è un mondo dove la libertà è pericolosa – spiegano -, un mondo che ha bisogno di un tiranno, un oppressore, dove un vero libero incontro tra due esseri umani è inconcepibile. Dall’incontro-scontro tra le due cecità dei protagonisti nasce una speranza di cambiamento. Noi due eravamo ragazzi negli anni ’80, i più difficili – ricordano -, quando la prima autobomba fece saltare in aria il giudice Chinnici a pochi passi da casa nostra. Palermo era paragonata a Beirut, c’era un cratere a pochi metri da noi che facevamo le valige per andare al mare. Ti viene insegnato a non vedere, a fare finta di vivere in una città normale, altrimenti le cose si complicano».
Azzeccata la scelta di Saleh per il gelido killer. «Sul suo volto leggi l’umanità tormentata di palestinese, ha il carisma che cercavamo per una perfetta macchina da guerra, tipica di certi noir classici americani e francesi alla Delon. Dialoghi ce ne sono pochi – spiegano –, abbiamo evitato il doppiaggio. Per rappresentare un sentimento di estraneamento con le inquadrature nei silenzi, abbiamo studiato registi come Kitano. Per rendere la cecità di lui e il ritrovare la vista di lei senza usare ‘effettacci’ abbiamo studiato casi veri di non vedenti per cause neurologiche, ci hanno aiutato a capire come si muovono negli ambienti, a usare piani ravvicinati sul volto della ragazza».
Per Sara è stata dura entrare nel personaggio e girare con lenti accecanti che le rendevano lo sguardo fisso. «Era difficile seguire la macchina da presa senza vederla, le lenti mi oscuravano totalmente la vista, percepivo solo ombre. Ho lavorato molto sulla postura con alcune ragazze cieche, osservando i loro gesti, il loro modo di vivere, un’eperienza bellissima che ti fa crescere, anche come persona».
Il personaggio dello squallido boss di paese doveva apparire fasullo. «In un film silenzioso – spiegano i registi -, il regno delle parole è quello della menzogna. Il suo prendersi sul serio lo rende un personaggio parossistico. Abbiamo ascoltato gli interrogatori di certi boss, hanno questa sentenziosità, una percezione di sé e del mondo filosofeggiante anche mentre stanno preparando un crimine. Un modo di essere repellente, ci è bastato poco per renderlo paradossale».