Uno sperduto villaggio di pescatori ed una comunità unita in una maldestra truffa “fatta in casa” per acquistare, nuovamente, speranza in un futuro di lavoro e dignità. Questi gli elementi semplici, poveri eppur efficaci che costituiscono la particolarità e la validità artistica de “La grande seduzione”. Una tragico/commedia divisa tra passato e presente, tra modernità e solidità dell’antico, per dimostrare pienamente come una sceneggiatura ben orchestrata ed un attenta caratterizzazione dei personaggi possano costruire un prodotto che, pur se privo di facili sensazionalismi e di volti dalla fama trainante, risulti piacevolmente poetico nel tema e nella cura dell’immagine. Dopo dodici anni trascorsi nel settore pubblicitario e 500 spot diretti, Jean-Francois Pouliot affronta la sua prima regia di lungometraggio affidandosi ad uno spiccato e sagace senso dell’umorismo ed ad un evidente propensione verso la sintetica ed essenziale pulizia narrativa propria del linguaggio pubblicitario. Nonostante l’intreccio basato sul principio “nulla è come appare” che, automaticamente, sembra richiamare alla mente l’irlandese “Svegliati Ned” ed alcune scelte visive che possono trarre ispirazione da “Il favoloso mondo di Amelie”, Pouliot determina la sua originalità, è decisamente troppo presto per parlare di autorialità, attraverso questa costante ironia con la quale sceglie di tratteggiare lucidamente la solitudine che nasce dall’isolamento e dalla dimenticanza. La vicenda di Sainte-Marie-La Mauderne, un ammasso di rocce in mezzo all’oceano, e dei suoi 177 abitanti un pò rozzi ed arruffati non si abbandona mi al compiacimento di una facile drammaticità nè ad un eccesso di immagini e sensazioni. Perfettamente racchiusa ed esaurita nei suoi 110 minuti,non si avverte minimamente alcuna sbavatura narrativa nè alcun elemento lasciato sospeso ed incompiuto, ma regala soprattutto la prospettiva futura che si possa utilizzare un nuovo modulo linguistico e rappresentativo per narrare l’esistenza nei suoi aspetti meno affascinanti. Così come “Le invasioni barbariche” sono riuscite nel tentativo di trasformare la morte nel più imponente dei palcoscenico su cui rappresentare la vita grazie alla forza espressiva di un emozione che nasce da una risata, “La grande seduzione” indaga tra l’isolamento, la vergogna e la dignità con tutta l’ingenuità di chi è convinto che la commedia non sia necessariamente una forma inferiore della settima arte.
di Tiziana Morganti