Enrique (Féle Martìnez) è seduto al suo tavolo di lavoro e ritaglia notizie di cronaca nera, privo di una vera ispirazione per il suo prossimo film. Quando suona alla porta un suo vecchio compagno di collegio (Gael Garcìa Bernal), Ignacio, offrendogli la storia del suo prossimo film: un manoscritto autobiografico intitolato “La visita”, che descrive un triangolo amoroso nella Spagna degli anni ’60 tra il direttore di un collegio maschile, padre Manolo (Daniel Giménez Cacho) e il suo alunno preferito, a sua volta timidamente innamorato di un coetaneo. Da questo antefatto prende avvio il nuovo film di Pedro Almodóvar, La mala educación, presentato in apertura al 57° festival di Cannes e che ha suscitato polemiche accese tra la stampa conservatrice e cattolica per via delle tematiche trattate: la pedofilia e gli scandali all´interno della Chiesa, l´omosessualità tra due bambini (che nel film è suggerita in modo affatto morboso) e soprattutto per le ricadute, implicite, che questo tipo di educazione, di stampo rigidamente cattolico, ha procurato nelle esistenze di tutti i protagonisti. Mai come in questo caso devastate da sensi di colpa, traumi infantili, desiderio di rivalsa personale.
Incattivendoli e trasformandoli in individui in continua fuga da se stessi, attraverso l´uso di droghe, alcool o “semplicemente” con l´aiuto di un paio di tacchi a spillo e di seni al silicone. Le vite di Enrique, Ignacio, Padre Manolo sono destinate a incontrarsi di nuovo, dopo vent´anni, come in una spirale fatale dove si rinnovano antiche ferite e nuovi rancori, dibattendosi in un presente che non riesce mai a staccarsi dalle ferite del passato e a diventare progettualità del futuro. E dove il cinema, inteso sia come set che come sala buia di proiezione, è l´unica dimensione di felicità sperimentabile e di educazione “alternativa”. Al ritmo di Un cuore matto di Little Tony, la storia del film in lavorazione di Enrique si mischia a quella della scrittura del soggetto di “La visita”, provocando continui sbalzi temporali e confondendo le intenzioni, le identità e le motivazioni stesse dei personaggi, che aspirano ad apparire (tutti meno il regista) quello che in realtà non sono. Buttandosi a capofitto in una storia che parla di cinema e realtà, scrittura, ricatto, amore, odio, tradimento, ingordigia e pulsioni omicide, Almodóvar si confronta con alcuni dei grandi temi presenti nei suoi precedenti film, adattandoli a un contesto dove la struttura di fondo sembra però più rigida, meno adattabile all´irrompere improvviso del caso. E dove la porta, come nel finale, resta chiusa ad ogni tipo di riconciliazione. Evidenziando la complessità di un racconto, in questo caso mascherato da noir, dove la sofferenza sembra incidere ancora sulla carne viva del suo autore.
di Beatrice Nencha