Non mollare mai i propri sogni. E’ l’invito che fa Davide Ferrario col suo film Boys, che ha aperto fuori concorso il Festival di Taormina. Una commedia generazionale capace di divertire, emozionare e far riflettere sul valore dell’amicizia, il potere della musica, interpretato da un eccezionale quartetto formato da Neri Marcorè, Giorgio Tirabassi, Giovanni Storti, Marco Paolini, con la suggestiva colonna sonora di Mauro Pagani, prodotta da Lumière con Rai Cinema, nelle sale dal 1 luglio con Adler.
Joe, Carlo, Bobo e Giacomo sono amici da sempre, uniti da un autentico legame e dalla passione che li aveva fatti incontrare: la musica. Erano loro The Boys, la band che aveva monopolizzato le scene negli anni Settanta e ora, per diletto, si esibisce con i brani di allora nel ristorante di uno di loro. Nella loro routine irrompe la possibilità di rinverdire quel successo agganciandosi a un giovane trapper in auge, adorato da milioni di fan, che dovrebbe realizzare una cover delle loro canzoni di allora. Dovranno però fare i conti con i sogni e le ambizioni di un tempo e il mondo di oggi, ma ancora di più scopriranno il senso vero della loro amicizia.
Il genere più adatto per raccontare questa storia è naturalmente la commedia, mescolata a elementi di road movie, sostiene Ferrario. “Sentirsi parte di un gruppo è ancora qualcosa che ci regala la grazia di un posto nel mondo. Tanto più se queste amicizie sono di antica data e collegano il passato al presente e se il destino le sottopone a prove che ne testano la sincerità e il valore – spiega -. I personaggi del film appartengono a una generazione (la mia, in effetti…) che non ha mai immaginato di invecchiare davvero. E invece il tempo non fa sconti a nessuno. Ma pur dovendo ciascuno affrontare una sorta di ‘prova di passaggio’, scopriranno che la vita può tenere in serbo soddisfazioni imprevedibili in tutti i momenti. Da questo punto di vista sono essenziali i rapporti con le donne e con i personaggi più giovani. È solo con il loro confronto e con il loro intervento che ‘diventano grandi’”.
Essere sessantenni oggi è strano, perché non ci si sente vecchi. Ma in questo c’è un pericolo: continuare a credersi giovani. Invece non si dovrebbe rincorrere chi ha meno anni di noi ma essere fedeli a noi stessi e al nostro passato. Il che non significa rimpiangerlo con nostalgia, ma esserne dei testimoni sinceri, nel bene e nel male. Nella loro semplicità è quello che fanno i Boys. Con un linguaggio capace, quello sì, di attraversare le generazioni: il rock.
“Alla fine degli anni sessanta, e almeno per tutto il decennio successivo, le balere, le cantine pullulavano di band che provavano, suonavano, sognavano – ricorda Mauro Pagani, che allora era ai vertici delle hit parade con la Premiata Forneria Marconi-. Erano anni in cui tutto sembrava possibile, anni irripetibili, nell’aria circolava così tanta energia, c’era la certezza che tutto stesse cambiando definitivamente. Tutto era a portata di mano, bastava crederci, bastava chiedere. Un bel giorno ci siamo svegliati adulti e ci siamo resi conto che non era andata proprio così come avevamo immaginato. L’istinto mi ha portato a frugare nei bauli musicali dei primi anni della mia carriera di compositore. Ho ritrovato pezzi che avevo scritto allora e che per misteriosi motivi non avevo più riascoltato: brani pieni di energia, di voglia di vivere che raccontano quanto fosse importante battersi per ogni cosa che ci stesse a cuore – continua il musicista -. Ho deciso che era arrivato il momento di condividerli e così li ho resi l’asse portante della colonna sonora. Il bello è stato che mi sono reso conto che il ricordo di quegli anni effervescenti, ebbri di ottimismo, ma anche di contraddizioni, continua a brillare di luce propria, e continua a inebriarmi. In fondo basta poco, basta continuare a crederci, provarci”.