Per Paolo Virzì la prima cosa bella è la mamma
« Per una volta niente problematica sociale, ma pezzi palpitanti del mio cuore ». Paolo Virzì torna al cinema con La Prima Cosa Bella, piccolo capolavoro di commedia sentimentale all’italiana che Medusa distribuirà in 400 copie nelle sale dal 15 gennaio e che potrebbe davvero contribuire al miracolo della rinascita del cinema di casa nostra. Virzì sostiene di non temere l’uscita in contemporanea con il kolossal Avatar : «È un bene che si possa scegliere – dice – tra la tecnologia più avanzata e lo struggimento della famiglia Michelucci, il mio kolossal livornese ». Per pescare dal vissuto è infatti tornato nella sua Livorno (che definisce il suo teatrino personale brulicante di storie eccezionali di gente comune) per raccontarci con garbata ironia le vicende di una famiglia in fondo come tante. Anna (Micaela Ramazzotti) una giovane mamma bellissima, frivola, fin troppo vitale e imbarazzante, condiziona la vita di Bruno, il suo primogenito, fin dalla tenera età.
Da quando, nell’estate del 1971, lei è eletta “la mamma più bella” dello stabilimento balneare più popolare di Livorno scatenando sospetti e gelosie nel marito Mario (Sergio Albelli) che li caccerà di casa. Dopo anni di vita vagabonda con la sorellina Valeria sostenuti dall’incrollabile ottimismo di quella mamma allegra e incosciente, Bruno (Valerio Mastandrea) ha tagliato i ponti con la famiglia e col passato. È diventato un uomo insoddisfatto della vita e incapace di amare e quando la sorella (Claudia Pandolfi) lo chiama al capezzale della madre gravemente malata (Stefania Sandrelli) lui si ritroverà suo malgrado a fare i conti con quella donna ancora bella e vivacissima che a dispetto dei medici non vuol saperne di arrendersi, costringendo il figlio a ripercorrere le vicissitudini familiari che lui aveva voluto a tutti i costi cancellare. « Questo film nasce dal desiderio di far pace con la vita in un momento in cui ci si sente in esilio – spiega il regista -, ritrovare una casa, una patria, in un momento in cui ci si sente senza patria, un luogo da cui ripartire. Tornare a Livorno è stato come andare a cercare quella patria perduta ».
Bruno ammette, gli somiglia: « Ma non è un film nostalgico, un Amarcord livornese – precisa -, è un tirare le somme oggi per vedere come va a finire ». La figura di questa madre sciagurata ma eversiva nell’essere ignara, fiduciosa, dice Virzì, è un omaggio alla forza di certe donne, alla follia romantica di un amore. « È il film più commovente e ottimista che abbiamo fatto, c’è la voglia di vivere di fronte alla morte – sottolineano gli sceneggiatori Francesco Bruni e Francesco Piccolo -, non c’è il cinismo monicelliano, è più vicino a Scola. I continui salti narrativi tra il passato e il presente servono a fornire informazioni al pubblico per entrare meglio nella storia ». Micaela Ramazzotti si cala alla perfezione nei panni della mamma giovane: « Ho cercato di rubacchiare – dice – certi modi di fare di Stefania nei grandi capolavori del cinema italiano ».
La Sandrelli invece è entrata in corsa nel film, appena terminato il suo primo lavoro da regista. « È stato difficile entrare nel film ma poi mi sono lasciata andare, ho avuto il vantaggio di vedere alcune scene già girate e le ho fatte mie. Questa storia mi corrisponde, piangi e ridi, da spettatore al cinema ‘voli’, è la prerogativa della bella commedia all’italiana degli anni ’60 e ’70 ». Lei, viareggina con genitori fiorentini, ha faticato ad assimilare il dialetto livornese mentre Claudia Pandolfi ci si era già confrontata dieci anni fa in Ovosodo: « È un dialetto complicato, forte, come la città – ammette -, mi sono lasciata guidare completamente da Virzì ». « Per il mio dialetto mi prendeva in giro tutta la troupe livornese » confessa Mastandrea, che continua a dar prova di una maturità artistica ormai consolidata. « Con Virzì abbiamo abbiamo lavorato molto sullo spessore e la complessità di tutti i personaggi – continua l’attore romano – , i nostri incontri erano impulsivi, quando faceva la voce grossa voleva dire che era appassionato. È un film che parla d’amore in modo originale, io in 38 anni avrò detto a mia madre che l’amo un paio di volte, ora lo farò di più ».