Quando nella notte del 31 agosto del 1997 le agenzie di tutto il mondo batterono la notizia dell’incidente accorso nel tunnel dell’Alma a Parigi ai danni della principessa del Galles ed al suo compagno Dodi Al Fayed, non si sarebbe mai presupposto l’onda emotiva che avrebbe travolto l’intera Inghilterra e l’attenzione spasmodica dei media, capaci di trasformare un funerale in un evento mondano arricchito da lacrime e celebrità. Una vera e propria scossa tellurica dei sentimenti, volta ad incrinare il più ferreo e rigido establishment della monarchia, invase un paese proverbialmente non emotivo ed una Royal House imperturbabile, capace di salvare se stessa ed i suoi privilegi solo in extremis. A quasi dieci anni da quegli eventi l’inglese Stephen Frears. presenta in Concorso alla 63esima edizione del Festival di Venezia il suo The Queen, partendo da quello che può con tutta probabilità essere considerato come il più grande evento mediatico del ‘900, per aprirci le porte di una monarchia sconosciuta ed umanizzata attraverso il ben noto sense of humor di stampo britannico. Ed è proprio l’ironia l’arma vincente di tutto il film e di un intero cast (Helen Mirrer, Michael Sheen, James Cromwell, Sylvia Syms e Alex Jennings) impegnato a dissolvere nel nulla il mito negativo dell’imperturbabilità inglese. «È nel 1947 che ho preso piena consapevolezza dell’esistenza della monarchia ed in particolare della regina – esordisce Frears – Se faccio un breve calcolo sono più di sessant’ anni che Elisabetta II fa parte della mia vita. È con me da più anni di mia moglie e dei miei figli. Non c’è bisogno di scomodare Freud per capire che la sua figura fa parte del mio immaginario in modo determinante».
Considerato come uno dei più importanti e provocatori registi del Regno Unito, Stephen Frears (My Beautiful Laundrette, Le relazioni pericolose, Mrs. Henderson presenta) ha da sempre dimostrato di avere una perspicace predilezione nel tratteggiare personalità femminili dalla straordinaria forza caratteriale, collocandole in una cornice storica dalle suggestioni teatrali. Ad affiancarlo in questo caso, dopo la sua esperienza con attrici del calibro di Glen Close e Judi Dench, è stata chiamata Helen Mirren, Palma d’Oro a Cannes nel 1995 con La pazzia di re Giorgio. «La mia prima reazione di fronte a questo ruolo è stato di puro terrore – ammette con onestà la Mirren – accettare un ruolo del genere vuol dire uscirne perdenti in partenza. Una delle cose più difficili per un attore è proprio rappresentare un personaggio reale ed ancora vivente. Per quanti sforzi si facciano si ha la consapevolezza di non poter mai trasformarsi in quella persona fino in fondo». Modestia a parte è riuscita comunque nell’arduo compito non solo di conquistare il volto e la voce di Sua Altezza Reale La Regina (un coach l’ha aiutata ad impostare la voce nella cadenza e nell’intonazione), ma ha vestito i suoi panni ravvivandoli con la forza della sua ironica personalità.
A tenere le fila narrative di una saga famigliare che si confonde tra gli umori popolari e s’intrufola tra le antiche mura di Balmoral, è Peter Morgan, già collaboratore di Frears per il film televisivo Deal, che per l’occasione ha saputo creare una miscela esplosiva utilizzando ingredienti come il pettegolezzo di corte, la curiosità popolare ed i fatti storicamente testati. «Per fare questo film sulla Regina e Tony Blair abbiamo parlato con moltissime persone. Con chi è dalla parte di Blair e con chi lo detesta, tanto per capire anche l’atmosfere dei giorni della sua elezione. Per quanto riguarda poi la famiglia reale ci siamo fidati delle corti dei vari palazzi, scoprendo come ognuna di loro abbia una personale versione sulla morte di Diana e lotti ferocemente con l’altra per farla prevalere. In fin dei conti abbiamo scoperto che i membri della famiglia reale potrebbero insegnare molto in fatto di intrighi all’intera classe politica». Realtà storica a parte ciò che colpisce nella sceneggiatura di Morgan è il rapporto freudiano che s’instaura tra Balir e la sua Sovrana. Una sorta di riconoscibilità materna che ha una valenza del tutto personale e non pretende di espandersi all’universalità del paese e che Peter Morgan riassume in modo originale e logico, almeno dal punto di vista anagrafico. «In fin dei conti è come se la regina fosse stata la figlia di Churchill, la moglie di tutti gli altri e la madre di Balir».
di Tiziana Morganti