Gabriele Muccino si è imbattuto nel suo sogno americano e l’ha realizzato. Partito alla volta degli Stati Uniti al seguito di Will Smith, il regista romano (già premiato al Sundance grazie al suo L’Ultimo Bacio) ha afferrato la possibilità di realizzare il primo film straniero grazie ad una vicenda dai risvolti umani che sanno dell’incredibile. Ad accendere la scintilla iniziale dell’entusiasmo è stata la storia personale di Chris Gardner ( autore del libro La ricerca della felicitàin libreria dal 12 gennaio), un uomo di colore ridotto in povertà con un figlio a carico ma pur sempre capace di lottare fino allo stremo delle forze per inseguire il sogno di un futuro migliore. Ambientata nell’America reganiana degli anni ottanta tra il cubo di Rubik ( gadget culto dell’epoca) ed un dilagante senso d’indifferenza di fronte ad una povertà tangibile e non posticcia, La ricerca della felicità ( dopo aver guadagnato 130 milioni di dollari in America ed essere attualmente secondo al box office, esce nelle sale italiane dal 12 gennaio con 340 copie) rappresenta per Muccino un allontanamento dal suo abituale cinema fatto di toni eccessivamente isterici e sopra le righe, ed una sfida nel raccontare finalmente una storia vera che sommessamente si esprime attraverso un’ universalità che commuove e coinvolge. Con lo sguardo puro, quasi “vergine”, come lui stesso lo ha definito, il regista romano si è immerso profondamente all’interno di una società basata sul netto dualismo tra perdenti e vincitori, tra chi ce l’ha fa e chi rimane ai margini di una struttura che non perdona facilmente gli errori, regalando a Will Smith, ormai da molto ex principe di Bel Air, un ruolo drammatico inaspettato che potrebbe valergli di merito il Golden Globe e l’Oscar.
Il risultato è stato un film misurato, veicolato attraverso una visione più europea della vita ma comunque riconoscibile per il pubblico americano. Il sogno persiste, sopravvive, ma cambia prospettiva ed angolazione. Da esclusivamente americano si trasforma in umano, come Will Smith ha precisato, perdendo trionfalismo e fanfare per acquistare concretezza e capacità di dialogare con ogni singolo individuo, lo stesso per cui Thomas Jefferson aggiunse all’interno della Dichiarazione d’Indipendenza il diritto alla ricerca ed al raggiungimento della felicità. Ma qual è poi il vero significato di felicità? ” La ricerca è il sogno stesso dell’uomo – esordisce Will Smith che nel film ha recitato accanto a suo figlio Jaden di sei anni – Personalmente per me la felicità rappresenta il rispetto che ho nei miei confronti. E’ come se mi guardassi dall’esterno, se giudicassi le mie azioni e le mie scelte. Se ho rispetto per quello che faccio e che sono, allora sono felice.” America a parte, La ricerca della felicitàgode di atmosfere intime e sommesse le cui radici sono da cercare in un modo d’intendere e raccontare il cinema sicuramente diverso dalle moderne esperienze hollywoodiane. Che si nutra del riflesso quasi incondizionato del neorealismo italiano ( Ladri di biciclette e Umberto D) o che guardi con nostalgia all’America sognatrice e dai buoni sentimenti di Frank Capra, il film di Muccino impone una cifra stilistica passionale, sentita ed umanamente realistica.
“Avevo paura di portare troppo sentimentalismo ed un velo di dolciume su questo film – chiarisce – Quello che desideravo ottenere non era la manipolazione della povertà, ma volevo che mi si attaccasse addosso. E’ per questo motivo che in tutto il film non c’è un solo barbone che sia finto, ma sono quelli che frequentano abitualmente le strade di San Francisco, mentre i locali dove abbiamo girato sono realmente i ricoveri dove Chris andava a trascorrere la notte con suo figlio. Per tutta la durata delle riprese ho voluto che Chris Gardner fosse con me sul set a ricordarmi che ciò che stavo facendo non era un gioco, ma rappresentava la realtà quotidiana di tutti coloro che non ce l’hanno fatta.” Ed il motore, la forza trascinante di questa storia è da rintracciare nella genuinità dei principi che hanno mosso i passi disperati ma costanti di Gardner fuori dal ghetto intellettuale e sociale dove era stato collocato. Dai dormitori pubblici ed i bagni della metropolitana dove si rifugiava di notte con suo figlio, ha realizzato il suo sogno diventando un broker di successo e, in seguito, un ricco uomo d’affari. Ma lo scopo del viaggio, del suo viaggio, non era la ricchezza in se e per se, quanto conquistare un primato, dimostrare di poter diventare ciò che sentiva di poter essere. Una perseveranza ed una solidità che ancora oggi, alla domanda se sarebbe possibile una storia come la sua nell’America attuale poco stabile ed insicura, lo porta a rispondere senza tentennamenti : “Io ce la farei.”
di Tiziana Morganti