La regista reinterpreta il romanzo di Veltroni
È liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Walter Veltroni dal titolo La scoperta dell’alba, il nuovo film di Susanna Nicchiarelli, talentuosa regista che aveva debuttato nel lungometraggio nel 2009, con l’apprezzato Cosmonauta, dopo aver diretto diversi corti e documentari.
La storia si apre nel 1981, sullo sfondo del cortile universitario de La Sapienza, dove il professor Mario Tessandori, preside della facoltà di Giurisprudenza, viene ucciso con sette colpi di pistola dai brigatisti e muore tra le braccia del collega e amico Lucio Astengo, il quale, solo qualche settimana più tardi, scompare inspiegabilmente nel nulla. Trent’anni dopo le figlie di Astengo, Caterina (Margherita Buy) e Barbara (la stessa Nicchiarelli), che all’epoca dei fatti erano due bambine rispettivamente di dodici e sei anni, decidono di mettere in vendita la loro villetta al mare.
In casa c’è ancora un telefono, Caterina ne solleva la cornetta e scopre che c’è il segnale di libero: circostanza assai inverosimile dal momento che la linea è staccata, essendo la casa disabitata da tempo. Quasi per gioco prova a fare il numero della sua vecchia casa di città di trent’anni prima e, dopo alcuni squilli, le risponde una voce di bambina: è lei stessa a dodici anni, una settimana prima della scomparsa del padre. Il destino le ha riservato questa insolita possibilità per scoprire come siano andate realmente le cose.
Certamente l’espediente tecnico di un telefono come metaforico punto di contatto tra due diverse epoche si rivela l’elemento più affascinante della pellicola, consentendo, alle protagoniste, di riappropriarsi del passato per scoprire quella verità che la polvere del tempo ha nascosto per anni. E proprio quando la tanto agognata verità viene finalmente alla luce, appare emblematica la struggente scena in cui il misterioso telefono, che ha assolto il suo compito, viene riposto da Caterina che ne annoda accuratamente il filo.
Le vicende storiche a cui la pellicola, recentemente presentata al Festival del Cinema di Roma, fa riferimento, anche se di fantasia, riguardano comunque il doloroso contesto storico degli anni del terrorismo e suggeriscono molteplici spunti di riflessione su quell’epoca. Film delicato, garbato, a tratti persino giocoso e divertente (grazie alla simpatia di Sergio Rubini) che, pur nella consapevolezza della gravità delle problematiche in questione, riesce comunque a strappare qualche sorriso.