Ale & Franz, la nuova coppia comica prestata al cinema dal cabaret televisivo è nelle sale dall’11 marzo con La terza stella una commedia leggera a tinte gialle girata da Alberto Ferrari che l’ha scritta col duo e Stefano Sudriè, prodotta con tre milioni di euro da Roberto Bosatra, Marco Poccioni e Marco Valzania in collaborazione con Medusa (che ne cura la distribuzione) e Sky e la colonna sonora di Massimiliano Mazzini in cui troneggiano i quattro brani dell’ultimo cd di Mina (Portati Via, La fin des vacances, Sei o non sei, Fever). La storia si dipana nella quieta routine di una cittadina di provincia (Cerveteri) scossa come ogni anno dai preparativi per l’accesissima sfida tra contrade a colpi di scacchi viventi. Ale gestisce puntigliosamente l’albergo Belvedere sperando a suon di migliorie di farlo diventare un tre stelle. Al suo fianco c’è l’evanescente moglie Linda (Francesca Giovannetti) e lo svitato fratello di lei, Franz, addetto alle pulizie del carcere locale che però trasloca in pianta stabile in hotel per dare una mano al cognato quando la moglie, rimasta incinta, deve mettersi a riposo.
La convivenza forzata e assai mal digerita da Ale dà la stura a una serie di gag e battute surreali, del genere ben noto ai fan del televisivo Zelig, che rendono a meraviglia sia in teatro che in tv ma che stentano a bucare il grande schermo. Non tocca i vertici della comicità neppure l’entrata in scena di loschi figuri dell’est con tanto di pupa bionda e dura (Petra Faksova, La squadra, Distretto di Polizia) che li coinvolgono in una rocambolesca evasione, i febbricitanti preparativi per la mega partita in piazza che sconvolgono tutti i paesani: personaggi come Piero il macellaio, la sua sexy fidanzata profumiera Olivia e il medico-spasimante Guido, i carabinieri che parteggiano per la squadra avversaria, tutti sopra le righe e ben interpretati. Si ride ma la lacuna nel fronte comico sta forse nel fatto che Ale & Franz, pur ispirandosi a miti come Chiari, Sordi, Verdone, Cochi e Renato, ai De Funès, Billy Wilder, Jerry Lewis, non hanno voluto spingere sul pedale delle battute, delle macchiette, preferendo in questo esordio cinematografico dar spazio a una recitazione realistica, non troppo sopra le righe. Non inviare messaggi ma mostrare i lati positivi di un mondo puro, in cui trionfano l’amicizia, il calore, la solidarietà. Anche se ora loro stessi ammettono che per un film ci vuole una scrittura e un linguaggio completamente diverso che per la televisione, che il cinema era un mezzo nuovo e che hanno provato a usarlo. E che, comunque, ha aperto loro la porta di un mondo sconfinato che vorrebbero continuare a esplorare, incassi permettendo.
di Betty Giuliani