Lei rivive sullo schermo e scaglia frecce verso gli spettatori, mirando per due ore al centro del cuore. Colpisce tutti, profani inclusi, tutti quelli che di Edith Piaf avevano solo una vaga idea e vagamente collegata alla “Vie en rose”. Oltre alla protagonista Marion Cotillard, anche Olivier Dahan ha centrato il bersaglio di un’impresa non facile. La “Môme” poteva uscirne troppo divina o troppo umana, così come in vita le capitò realmente cavalcare la ruota della fortuna o di esserne schiacciata. Il regista ha usato l’intuizione per raccontare un’esistenza vissuta tra i bassifondi di Belleville ma anche sullo scranno della consacrazione internazionale. Soprattutto, la storia di un corpo malato nella carne e nell’anima, ma capace di grandi trasfigurazioni in palcoscenico. Senza aggiungere mito al mito, Dahan ha scelto la strada del flusso di coscienza, del racconto per libere associazioni. Scordatevi la coerenza cronologica e il rigore del biografo. Gli episodi si intrecciano compiendo salti di decenni, i personaggi invecchiano o ringiovaniscono in pochi secondi, racchiusi in una soggettiva o in un piano sequenza. E sempre a dispetto dei vecchi profani, sono pochi gli accenni alla “vita rosata” e molti i riferimenti ad un passato poco noto, considerato fino ad oggi trascurabile, un passato di cui la cantante non parlava spesso. La Piaf diventa quasi un personaggio di Joyce, i ricordi si dipanano con ritmo frenetico, nella leggerezza, nell’estasi, nella depressione. Una coscienza che si sottopone all’autocritica fino all’accettazione, a un passo dalla morte, di episodi dolorosi e a lungo occultati. Un racconto istintivo dunque, e sicuramente Marion Cotillard, che indossa i panni della “Môme” dalla gioventù alla maturità, merita un plauso particolare. Ben calata nel ruolo, scrupolosa nel play back, preparata su mimica e respirazione. La Piaf era gracile e curva, ma aveva occhi blu cobalto e mani di fata. Occhi mani e voce erano armi di seduzione, croce e delizia di fan, amici e amanti. Un carisma che la Cotillard ha saputo rendere fino a strappare, in qualche caso, lacrime di commozione.
di Annapaola Paparo