Il progetto di Marco Tamburro, nato dalla collaborazione con tanti artisti internazionali, apre uno sguardo nuovo sull’arte e sulla società del terzo millennio. Se si dice “a quattro mani”, la prima cosa che viene in mente è la musica: le composizioni pianistiche pensate per essere suonate da due musicisti, ma anche le storiche collaborazioni che hanno forgiato il sound leggendario degli anni ’70. Difficilmente, invece, si pensa all’arte figurativa, settore in cui l’arte resta legata al singolo artista che l’ha prodotta.
Eppure c’è chi ha deciso di rivoluzionare questo modo di vedere le cose: proprio da qui, infatti, e dalla volontà di ripensare l’autorialità dell’opera d’arte, parte il lavoro del pittore e scultore Marco Tamburro. Un progetto che si chiama appunto “A quattro mani” e che sarà protagonista di una mostra in programma dal 7 al 24 novembre al Palazzo della Penna di Perugia.
In questa cornice, il protagonista non sarà l’autore, ma le opere realizzate ciascuna in collaborazione con un artista diverso nate dall’intreccio di visioni e stili differenti, con l’opera che diventa qualcosa in più rispetto all’espressione dell’individualità dell’autore.
Tamburro, nato a Perugia e attivo dagli anni ‘80, è un artista noto a livello internazionale, i cui lavori sono stati esposti accanto a quelli di Burri, Rambaldi e De Gregorio. Ma per questo progetto ha voluto mettere al centro qualcosa in più rispetto alla sua espressione individuale, collaborando con artisti come Antonio Tamburro, padre di Marco, il cubano Ramirez G.G. Roberto, l’israeliano Eliza Lai, il giapponese Tanaka Riku, la spagnola Evita Andujar, lo statunitense Anton Perich della scuola americana post Andy Wharol, Alberto Parres, Salvo Ligama, Mario Sughi, Fabio Giampietro. Ogni opera, dunque, è il risultato di due visioni artistiche differenti che si misurano l’una con l’altra secondo una modalità creativa che mai prima d’ora era stata presentata al pubblico in forma istituzionale.
“Penso sia necessario – spiega l’artista – superare l’individualismo e promuovere un confronto culturale e artistico. Riprendere un po’ quello che facevano i gruppi musicali e i cantanti e mettersi anche in discussione”. Una necessità che lui non avverte soltanto nel mondo dell’arte: “Oggi – prosegue – viviamo in un’epoca di confusione, con l’arte che sempre di più si trasforma in un business segnato da quotazioni altalenanti e da una poetica che spesso si rivela un bluff. È uno scenario che rispecchia molto il mondo in cui viviamo, dove i processi di globalizzazione sono stati seguiti da una radicalizzazione dell’individualismo e della chiusura, anche umana, verso ciò che è altro da noi. Ecco perché l’arte può indicare un percorso, mostrando l’arricchimento che scaturisce dal superamento della paura e dall’accettazione del confronto con qualcosa di diverso, stilisticamente e pure umanamente”.