Ci sono sogni che rimangono chiusi in un cassetto per una vita intera, altri che si trasformano in incubi o si dissolvono velocemente al mattino, mentre pochi sono quelli che quasi magicamente sono capaci di sovrapporsi alla realtà creando un universo parallelo chiamato anche fantasia e creatività. Michel Gondry, grazie all’inaspettato successo di Eternal Sunshine ( in Italia uscito con il discutibile titolo Se mi lasci ti cancello), ha già dimostrato di essere un perfetto conoscitore dei meandri meno frequentati della mente giocando a “dirigere” gli eventi di un passato che ha l’insolita capacità di essere “resettato”, ma è solo con il suo ultimo L’arte del sogno che lascia andare liberamente la materia onirica. ” Avevo questo progetto in testa ancor prima di realizzare Eternal Sunshine, ma ero anche bloccato dalla convinzione di non riuscire a scrivere una sceneggiatura del genere tutto da solo – ammette Gondry – Per il lavoro precedente avevo collaborato alla scrittura con Oscar Kaufman, ma gli americani hanno una visione totalmente diversa dalla mia. Loro vogliono essere sempre molto consapevoli e sapere fino in fondo cosa gli sta accadendo, io invece volevo lasciarmi andare, perdere il controllo e seguire solamente ciò che veniva dal cuore.” Un’ intenzione rispettata che ha portato alla creazione della vicenda del giovane e timido Stephane ( Gael Garcìa Bernal) il quale, tornato a Parigi dopo un lungo periodo trascorso in Messico, vede la sua frequente e prolifica attività onirica prendere il sopravvento sulla vita reale. Oppresso e deluso da un ambiente lavorativo che soffoca il suo talento creativo, riversa fantasie e proiezioni mentali sulla giovane vicina Stephanie ( Charlotte Gainsbourg), con cui condivide una fervida immaginazione. Ma a causa di una incontrollabile insicurezza Stephane non realizza il suo sogno d’amore, confinando la felicità sentimentale solo nella sfera onirica. Per dare consistenza ad un personaggio che in realtà vive concretamente solo attraverso la leggerezza dell’immaginario, Gondry ha voluto accanto a se Gael Garcìa Bernal ( è da poco noto che sarà membro della giuria al Festival di Berlino), che in pochi anni da attore teatrale in Messico si è trasformato in star internazionale ricercata dai registi attualmente più innovativi ed interessanti. All’ammissione da parte di Inarritu che “se lui non avesse accettato la parte, non avrebbe girato Babel” Gael risponde con ironia ed una buona dose di diplomazia :” Probabilmente in film non si sarebbe fatto se a rinunciare fosse stato Brad Pitt o Kate Blanchett.” Complimenti a parte, si percepisce dalle immagini e dal rapporto d’amicizia creatosi con Michel Gondry quanto la presenza del giovane Gael sia stata quanto meno fondamentale per la realizzazione di questo film.
“Quando ci siamo incontrati avevo appena finito la sceneggiatura e mi accingevo a riscriverla. Averlo conosciuto umanamente un anno prima dell’inizio delle riprese mi ha permesso di rivedere la storia pensando proprio a lui. Il fatto di essere diventati amici ha permesso di creare un terreno comune, dove il mio protagonista si è potuto rifugiare senza alcuna difficoltà. Inoltre devo a lui se ho avuto il coraggio di inserire all’interno della sceneggiatura un mio sogno, che mi sembrava troppo complesso da realizzare. Gael mi ha spinto a spezzare il ritmo rigido dello script e tentare.” Dalla prima regia di Inarritu Amores Perros, passando per Y tu mama también, La mala educatìon ed I diari della motocicletta, sembra proprio che Bernal non abbia sbagliato un film. Ma qual è il segreto di tanto successo? ” I miei film li scelgo sempre a livello organico, se così posso dire. Il primo elemento fondamentale è il copione naturalmente, poi viene il regista ma tutto è anche veicolato a seconda dei vari momenti della vita in cui mi trovo. Certo è che una volta effettuata la scelta debbo portarla a termine fino alla fine. E’ una necessità, un’urgenza che non mi fa tirare in dietro, nemmeno se capisco che sto girando un brutto film.” A Gael Garcìa Bernal si affianca Charlotte Giaonsburg, avvolta e protetta con il suo compagno da una ambientazione tangibile e concreta quanto surreale. Michel Gondry ha infatti deciso di immergere quotidianamente i suoi attori all’interno di una scenografia “fatta a mano”, che ha il compito d’imporsi quasi come un’interprete capace di ispirare atmosfere particolari e di trasformarsi in una vera e propria mostra itinerante che, dopo aver riscosso successo a New York, si appresta a conquistare anche Milano ( dal 9 al 19 gennaio). ” Se avessi realizzato gli effetti utilizzando le tecniche più avanzate avrei avuto come risultato un mondo totalmente diverso da quello che volevo. – continua Gondry – Sei o sette mesi prima dell’inizio vero delle riprese abbiamo girato tutte le animazioni. Questo mi ha permesso di rinunciare al blue screen, che secondo me toglie molta partecipazione emotiva, ma di proiettare gli attori completamente all’interno della scena.” E per il futuro cosa dobbiamo aspettarci? Mentre Michel Gondry continua a lasciarsi andare tra i meandri dei suoi sogni fantasiosi ( sta scrivendo un’altra sceneggiatura sulla quale non ha voluto svelare alcun segreto), l’amico Bernal porterà a termine il primo film da regista ( Deficit), con un orecchio attento a non perdere un’eventuale chiamata di Cuaròn per il prossimo film che girerà in Italia.
di Tiziana Morganti