Ispirato al libro intervista di Georges-Marc Benhamou, Le dernier Mitterand, sugli ultimi mesi di vita del grande presidente monarca alla fine del suo secondo settennato, il film di Robert Guédiguian, presentato alla scorsa Berlinale, ha come punto di forza l’incommensurabile interpretazione di Michel Bouquet, perfetto nel delineare un Mitterrand malato, solo nel palazzo dell’Eliseo apparentemente deserto di portaborse, che cerca unicamente la compagnia di un giovane giornalista idealista, cui confida la sua passione per le buone letture, ma anche per la cucina raffinata (i frutti di mare), le attrici e la disistima verso tutto ciò che ha rappresentato per lui la politica. «Nessuno ha fatto meglio di me dopo Napoleone» dice al giovanotto, che resta affascinato dal cinismo epicureo del presidente, ma quasi disprezzando le omissioni storiche di chi non vuole ricordare con correttezza il periodo di Vichy, le accuse sottili di antisemitismo (Antoine ad un punto della vicenda torna nella capitale di Pétain e ritrova lo spirito godereccio, facile e disperato di un pezzo di storia francese ancora tutto da definire). Mitterand/Bouquet non parla, o distilla frasi di letterati d’oltralpe o si fa beffe della sua malattia, ma si defila dal mettersi realmente a nudo.
Confessa inoltre le proprie debolezze di uomo che sta per morire con frasi di chi “disprezza l’evento per la passione dell’indifferenza”. Agli spettatori la sua figura non suscita ammirazione, né rispetto, ma come un fantasma disincarnato, oscurato dall’approssimarsi dell’Unione Europea, i suoi silenzi e i suoi accessi di furore danno il senso di un passato prossimo ormai irripetibile. Un miscredente spaventato, un uomo di sinistra al “caviale”, le flebili bordate di un moralista ed inguaribile “gauchiste” di Marsiglia come Guédiguian non mancano. Ma sembra il primo a rigettare il suo background cinematografico, le sue passioni ideologiche e le derive didascaliche cui ci ha abituati. Rinuncia allo sdegno, come se Mitterand e la sua complessità fossero fuori dalla sua portata. Quasi che il tono consolatorio o disperatamente ottimista e la sua militanza si spezzassero di fronte alla Storia e alle contraddizioni di un uomo potentissimo. Il suo film non è un docu-dramma sulla storia recente di Francia, ma l’indugiare su un poltico che sta tirando le cuoia con suprema classe. Il limite e il pregio di Guédiguian, che dovrà, dopo Le passeggiate al campo di Martedimettersi dalla carica di narratore della classe operaia. Un involontario autogol?
di Vincenzo Mazzaccaro