di Joël Dicker, La nave di Teseo, 2020. Un fine settimana di dicembre, il Palace de Verbier, lussuoso hotel sulle Alpi svizzere, ospita l’annuale festa di una importante banca d’affari di Ginevra, che si appresta a nominare il nuovo presidente. La notte della elezione, tuttavia, un omicidio nella stanza 622 scuote il Palace de Verbier, la banca e l’intero mondo finanziario svizzero. L’inchiesta della polizia non riesce a individuare il colpevole, molti avrebbero avuto interesse a commettere l’omicidio ma ognuno sembra avere un alibi; e al Palace de Verbier ci si affretta a cancellare la memoria del delitto per riprendere il prima possibile la comoda normalità. Quindici anni dopo, un ignaro scrittore sceglie lo stesso hotel per trascorrere qualche giorno di pace, ma non può fare a meno di farsi catturare dal fascino di quel caso irrisolto, e da una donna avvenente e curiosa, anche lei sola nello stesso hotel, che lo spinge a indagare su cosa sia veramente successo, e perché, nella stanza 622 del Palace de Verbier.)
Fin dalle prime pagine, il lettore è proiettato in un intricato dedalo di eventi, dove la realtà sembra vacillare sotto il peso delle infinite possibilità narrative e la verità si dissolve in un gioco di specchi. In questa intricata tela narrativa, ogni filo conduce a un nuovo enigma, e ogni risposta si rivela essere un ulteriore strato di mistero.
La trama, ambientata nell’opulento scenario di un hotel svizzero, ruota attorno a un delitto irrisolto avvenuto nella misteriosa stanza 622, che la direzione ha deciso di rinominare 621/bis quale goffo tentativo di rimozione. Ma non siamo di fronte a una semplice indagine poliziesca poiché Dicker non si accontenta di seguire i canoni del genere, pur tributandoli, ma li trasforma in un complesso gioco di speculazioni narrative. L’intreccio, infatti, non segue una linearità temporale, ma si snoda attraverso piani temporali e spaziali differenti, richiamando alla mente il concetto borgesiano del tempo come un giardino di sentieri che si biforcano. A volte ci si perde ma, se la cosa non vi disturba, il bello può essere proprio questo.
La trama principale s’intreccia dunque con una miriade di sottotrame, in un gioco di scatole cinesi dove ogni rivelazione apre nuovi interrogativi. Non è solo la ricerca dell’assassino a catturare l’attenzione, ma anche la riflessione sul ruolo dell’autore e del narratore, la cui voce si mescola con quella del protagonista, creando un effetto di mise en abyme che sfida il lettore a districarsi.
In questo contesto, il protagonista, uno scrittore in crisi, diventa il tramite attraverso il quale Dicker esplora le grandi domande esistenziali: cos’è la verità? Qual è il confine tra realtà e finzione? E soprattutto, qual è il ruolo della memoria nel ricostruire il passato? Domande che, sebbene possano sembrare lontane dal contesto di un romanzo giallo, trovano qui una loro naturale collocazione, trasformando L’enigma della camera 622 in una riflessione su cosa è vero e cosa non lo è.
Dello stesso autore Gli ultimi giorni dei nostri padri, La verità sul caso Harry Quebert, Il libro dei Baltimore, La scomparsa di Stephanie Mailer, Il caso Alaska Sanders, Un animale selvaggio.