Più che un horror metafisico sui morti che si risvegliano e tornano in massa in un paesino francese non meglio identificato, Les revenants di Robert Campillo parte da una domanda ben precisa: “Se i nostri cari tornassero, per misteriosi motivi, dall’aldilà, di nuovo sulla terra, come reintegrarli nel tessuto sociale?”. Niente scene truculente, dunque, ma corpi in movimento, occhi perduti nel vuoto, i redivivi sono un problema che la comunità deve affrontare. Non stupisce che il regista francese metta da parte l’aspetto “truculento” o il lutto intimo e preferisce osservarli come “persone” da reinserire nel tessuto sociale. Campillo è stato, infatti, prima di questo suo primo lungometraggio (nella sezione “Orizzonti”), sceneggiatore e montatore di Laurent Cantet nei film Risorse umane e A tempo pieno, che parlavano di disoccupazione e licenziamenti improvvisi, problematiche legate al mondo del lavoro e di come la mancanza di motivazioni professionali sprofondi i “vivi” verso la “morte” civile. La macchina da presa indugia dall’alto su questi corpi stanchi, pigri, che si dirigono verso le aziende in cui hanno timbrato i cartellini per anni. Poi si concentra sul rapporto amoroso di una donna che ritrova il marito, in un misto che spazia dalla tenerezza, alla collera e poi paura per un uomo che non sa più provare emozioni reali, ma che ha l’urgenza di spiegare alla moglie come avvenne il suo incidente automobilistico. Questi morti ricomparsi non piacciono ai vivi e viceversa, tutto il film è attraversato da una luce fredda, come la reale temperatura corporea di queste creature-zombie. La particolarità di Campillo è trasmettere angoscia non già per che quello che, prima o poi, accade a chi vive in terra, ma su come la possibilità di diventare immortali possa essere motivo di tormentosa oppressione. Un film decisamente interessante, fotografato in modo mirabile e con un’attrice Géraldine Pailhas che mette nei gesti e nello sguardo tutta la tenerezza e la frustrazione per un uomo tornato dal nulla, il suo uomo, un morto.
di Vincenzo Mazzaccaro