Canada, 1815. Un avamposto di una società commerciale era solito privarsi di una quarantina di uomini ogni primavera perché tornasse in autunno con le provviste per una nuova stagione, ma quest’anno nessuno della spedizione ha fatto ritorno al forte. Di contro ecco due belle ragazze, sperdute nel bosco e preda del freddo di un gelido inverno, orfane per colpa della corrente del fiume che ha inghiottito il loro padre spedizioniere. Ginger e Brigitte non vengono accolte bene al forte, tutt’altro. Il senso di quella visita inattesa viene vista dagli occhi invasati del reverendo Gilbert come una maledizione del demonio e, col senno di poi, non ha poi tutti i torti. Una sciamana indiana aveva già avvisato le due ragazze di uccidere il “bambino”, altrimenti la maledizione si sarebbe impossessata di una di loro. Ginger Snaps Back (questo il titolo originale di Licantropia) è una sorta di capitolo zero di una trilogia iniziata nel 2000 con Ginger Snaps di John Fawcett e proseguita nel 2004 con Ginger Snaps: Unleashed di Brett Sullivan. Costante la presenza delle due sorelle legate dal patto di sangue e interpretate dalle convincenti Emily Perkins e Katharine Isabelle, ma anche di Grant Harvey, qui in veste di regista ma presente anche in Ginger Snaps come regista della seconda unità e in Ginger Snaps: Unleashed come produttore.
Nero e rosso, nero come la notte e rosso come il sangue, nero e rosso come la coppia di sorelle già entrate nel cuore di alcuni cultori dell’horror d’oltreoceano. Katharine Isabelle e Emily Perkins erano curiosamente entrambe presenti anche nel cast di Insomnia di Christopher Nolan, ma la Isabelle ha un curriculum molto più vasto con esperienze in Freddy vs. Jason, Hostage e altri film mai arrivati in Italia. Il film di Grant Harvey pecca di una sceneggiatura a tratti scontata, colpi di scena piuttosto telefonati ma di contro si avvale di una fotografia invernale d’effetto, di gradevoli trucchi artigianali e di una certa originalità di fondo: in fondo di licantropi nel Far West nella storia del cinema non se ne ricordano poi tanti. Di mostri sì, e Harvey non esita a disseminare qua e là piccole accuse al colonialismo: «Inglesi e Francesi hanno portato questa “malattia” che infesta la nostra terra», dice il cacciatore indiano. Il mostro è fuori, ma anche dentro di noi, pare suggerire l’avventura delle due sorelle. Ci sembra dunque molto probabile che la visione di Harvey abbia influenzato il The Village di Shyamalan, non solo per la curiosa tunica rosso porpora della sciamana indiana, ma anche per l’idea che qualsiasi barricata non possa tenere a lungo lontano il male, quando questo risiede dentro, molto vicino a noi, inconsapevolmente per molti, ma non per tutti.
di Alessio Sperati