di Emmanuel Carrère, Adelphi 2012.
La prosa inconfondibile di Emmanuel Carrère ci consegna con Limonov un ritratto complesso e affascinante di una figura tanto controversa quanto enigmatica. Eduard Limonov «è stato teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio». Così ce lo presenta Carrère, e se ha deciso di scrivere questo libro è perché ha pensato «che la sua vita romanzesca e spericolata raccontasse qualcosa, non solamente di lui, Limonov, non solamente della Russia, ma della storia di noi tutti dopo la fine della seconda guerra mondiale».
Tanto è vero che Limonov non è solo un racconto ma un’esplorazione, un viaggio nei meandri dell’Europa del secondo Novecento e nelle pieghe più oscure dell’animo umano. Il libro si apre con la narrazione del primo incontro con il personaggio, quando Carrère viene spedito in Russia per scrivere un pezzo giornalistico sull’omicidio di Anna Politkovskaja, grande accusatrice del Cremlino contro la guerra in Cecenia. A una ricorrenza della strage nel teatro Dubrovka del 2002, Carrère scorge tra la folla Limonov, personaggio di spicco che aveva già incontrato e conosciuto a Parigi negli anni ’80 e che lo scrittore ha in più momenti sia amato che detestato.
Carrère si pone dunque come un investigatore della vita di Limonov, una figura che incarna il paradosso della storia recente: poeta maledetto, avventuriero, soldato e politico estremista, Limonov attraversa i decenni e le ideologie come un funambolo, rimanendo sempre fedele alla sua natura ribelle e anticonformista. La narrazione di Carrère non è mai giudicante, ma cerca di comprendere, di penetrare le contraddizioni di un uomo che ha vissuto più di una vita in una sola esistenza.
A tutti gli effetti Eduard Limonov è un personaggio che sfugge a ogni definizione e Carrère riesce a cogliere questo carattere sfuggente con una narrazione che non tende a giudicare l’uomo, ma a rappresentarlo nel caleidoscopio di colori di un ambiente in rapido mutamento. Ci porta dalla povertà della provincia russa all’ebbrezza della scena intellettuale di New York, dal sogno infranto dell’Unione Sovietica ai conflitti balcanici, seguendo le tracce di un uomo che sembra sempre, comunque, un passo avanti rispetto alla realtà che lo circonda.
Non mancano intermezzi politico-filosofici sul comunismo tra condanna e rimpianto. Non si può capire il comunismo – si suggerisce nel libro – senza averlo vissuto: «Secondo gli storici più seri – leggiamo -, venti milioni di russi sono stati uccisi dai tedeschi nei quattro anni di guerra e venti milioni dal governo nei venticinque anni del regno di Stalin. Si tratta di numeri approssimativi, i periodi si sovrappongono un po’, ma quel che conta a fini della storia che sto raccontando è che l’infanzia e l’adolescenza di Eduard sono state cullate dal primo dato e che, in seguito, egli ha fatto il possibile per ignorare il secondo. Perché, malgrado il suo gusto per la ribellione e il disprezzo per il destino mediocre dei genitori, è rimasto un loro figlio, il figlio di un ufficiale della Čeka (uno dei servizi segreti russi), cresciuto in una famiglia risparmiata dai grandi sconvolgimenti del paese senza mai sperimentare l’arbitrio assoluto e quindi convinto che se si arrestano delle persone, deve pur esserci un motivo».
E quindi Carrère ci guida tra le strade di Mosca, Parigi e New York, tra salotti letterari e campi di battaglia, facendo emergere non solo la figura di Limonov, ma anche un’intera epoca in bilico tra utopie fallite e nuove barbarie. L’autore rappresenta gli incontri sessuali del protagonista con un linguaggio molto esplicito, quindi il libro può non ritenersi adatto a ragazzi al di sotto dei 16 anni. Limonov si configura come una riflessione sulla storia, sul destino degli uomini e sulla fragilità delle idee.
Spicca la capacità di connettere le vicende individuali con il contesto storico più ampio, di fare della biografia un pretesto per esplorare il significato profondo degli eventi. Nel libro di Carrère questo legame tra micro e macro si manifesta in modo brillante, rendendo il libro non solo la storia di un uomo, ma anche una lente attraverso cui leggere le turbolenze di un’epoca intera, ponendosi come elemento fondante anche per comprendere la Russia di oggi assoggettata alla univocità del nuovo zar.
Dal libro di Carrère è stato tratto il film omonimo diretto da Kirill Serebrennikov e interpretato da Ben Whishaw, uscito in Italia nel settembre 2024.