di Carlos Ruiz Zafón, Mondadori 2004
A Barcellona una mattina d’estate del 1945 il proprietario di un negozio di libri usati conduce il figlio undicenne, Daniel, al Cimitero dei Libri Dimenticati, un luogo segreto dove vengono sottratti all’oblio migliaia di volumi di cui il tempo ha cancellato il ricordo. Qui Daniel entra in possesso di un libro “maledetto” che cambierà il corso della sua vita. Daniel, a una prima lettura, ne rimane letteralmente folgorato, mentre dal passato iniziano a emergere storie di passioni illecite, di amori impossibili, di amicizie e lealtà assolute, di follia omicida e di un macabro segreto custodito in una villa abbandonata. Una storia in cui Daniel ritrova a poco a poco inquietanti paralleli con la propria vita.
L’ombra del vento si potrebbe definire un thriller dei libri, primo episodio del ciclo sul Cimitero dei Libri Dimenticati e ambientato in una Barcellona ombrosa e funesta, divisa tra chi legge e chi no, tra il franchismo e la ribellione fatta più di cultura che di pistole e coltelli e in un lasso di tempo che va dal 1945 al 1966. La ricerca di un libro e di un suo autore diventa, tra le righe di Zafón, la ricerca di quel sottile confine tra verità e menzogna, tra crescita e redenzione. Le vie di Barcellona sono metafora del labirinto politico e mediatico che opprimeva la città durante la dittatura di Francisco Franco, quando la paura dominava comportamenti, conoscenze, opportunità.
E proprio qui risiede l’essenza di questo romanzo, nel potere dell’invisibile. Julián Carax, lo scrittore maledetto, e Daniel Sempere, il giovane in cerca di risposte, non sono che pedine in una partita molto più ampia. Il mondo de L’Ombra del Vento è popolato da personaggi enigmatici, da poteri che si muovono nell’ombra, in una danza macabra che riecheggia un teatrino e i suoi burattini.
L’abilità di Zafón sta proprio nel creare un’atmosfera di costante tensione, dove il passato ritorna come un’eco lontana, dove ogni personaggio nasconde una verità inconfessabile, e dove l’amore stesso si intreccia a doppio filo con il potere. Daniel Sempere diventa il simbolo della ricerca del vero che è anche ricerca di se stessi, non sapendo che, come insegna la storia del potere, la verità è sempre sfuggente, manipolabile, talvolta addirittura creata per confondere.
E Fermín Romero de Torres, il colto mendicante incontrato da Daniel in piazza è quel personaggio irresistibile che mescola ironia e profondità e che diventa una sorta di narratore interno alla trama, una voce dissacrante che rivela ciò che gli altri non vedono. Fermín è un corto circuito nel sistema che è in grado di svelare i suoi ingranaggi; lui che vive al margine è un meccanismo rivelatore degli intrighi più bassi dell’animo umano con le sue mille sfaccettature. Poi c’è l’ombra minacciosa, fisica e violenta del poliziotto Fumero e c’è quella sfuggente dello scrittore maledetto Carax, l’ombra del passato.
La Barcellona di Zafón è una città di sogni infranti, di amori mai dimenticati, ma è anche il riflesso di una condizione umana: la consapevolezza che, per quanto ci sforziamo di lasciarci alle spalle il passato, esso ci segue sempre, come un’ombra silenziosa. Ma Zafon ci offre anche una speranza, che nasce dall’atto stesso di raccontare, di mettere in fila le parole per dare un senso a ciò che sembra incomprensibile. È questo, forse, il messaggio più profondo de L’Ombra del Vento: che, alla fine, siamo tutti narratori delle nostre vite, e che attraverso il racconto di altri possiamo, tentare di capire il mistero di ciò che siamo.