Dopo il controverso Roberto Succo e per chi scrive, lo splendido rifacimento francese de La noiadal libro di Alberto Moravia, il bravo Cédric Kahn rimaneggia a suo piacimento un romanzo di Georges Simenon, da poco uscito in Italia per le edizioni Adelphi. Se l’inventore di Maigret lo aveva ambientato nelle strade americane, durante il suo soggiorno statunitense del 1950, il cineasta d’oltralpe, con l’apporto di due bravissimi attori come Jean-Pierre Darroussin e Carole Bouquet, lo riporta tra le strade francesi del nuovo millennio. La coppia si sta prendendo un periodo di vacanza dopo lo stress da lavoro e per riabbracciare i figli mandati in colonia. Antoine è un uomo pieno di risentimento e di rabbia nei confronti della moglie che forse lo tradisce e in ogni caso trova più soddisfazione a parlare coi suoi colleghi avvocati che con il consorte. Darroussin dà al fallimento umano del suo personaggio una sorta di gelida consapevolezza: se i suoi sentimenti sono annegati/annebbiati, tanto vale bere per tentare di dimenticare le proprie manchevolezze. Di contro Hélène è la donna in carriera che mal sopporta le meschinità maritali e Carole Bouquet con la sua eleganza “chabroliana” raggela i sussulti di aiuto che arrivano da un uomo sull’orlo di una crisi di nervi.
Se l’inizio è uno spaccato parigino alla Claude Sautet, il viaggio si disfa in un rifacimento ghiacciato di un “polar” di Clouzot. I due coniugi si muovo tra il sonno e la veglia, tutto si complica e la macchina sembra paradossalmente, nella sua velocità, ferma (in questo senso, Kahn, per dare esasperante lentezza alla suspense gira in studio la maggior parte delle sequenze ‘on the road’). L’artiglio del disamore si scontra con la fuga di Hélène e l’evasione di un delinquente da una prigione. Da qui il torpore alcolico di Darroussin diviene consapevolezza, sacrificio, delitto. I gesti ritrovano un senso che era stato mal riposto e le scene dell’ospedale restano tra le più belle e comprovanti l’amore e l’intimità di una coppia che si era persa, come se gli accadimenti esterni gravosi, orrendi, definitivi potessero smuovere l’essenza stessa dei sentimenti. Kahn, in una pellicola che gli americani hanno definito “tipicamente francese” (che sforzo! Fosse stato molto “tedesca” ci saremmo preoccupati…) mischia letterario ed onirico, ellissi e metafora, Hitchcock e la quotidianità perturbante di un noir di Patricia Highsmith. Nella stramazzante situazione italica, dove il cinema diventa optional per burattini televisivi creati ad hoc, una boccata di ossigeno di cui si aveva bisogno.
di Vincenzo Mazzaccaro