Cosa accadrebbe se un comico diventasse Presidente degli Stati Uniti? Probabilmente si tratterebbe della prima e più autentica rivoluzione culturale e sociale di questo millennio. Per la prima nelle stanze del potere ci sarebbe un rappresentate che, all’involontario e spesso drammatico senso del ridicolo in cui cade troppo frequentemente l’attuale classe politica impaludata in giacca e cravatta, sostituirebbe un arguta e caustica ironia esaltata dalla modernità di un linguaggio finalmente comprensibile a livello popolare. Dopo Good Morning Vietman il regista Berry Levinson e l’istrionico Robin Williams si ritrovano all’interno degli ingranaggi di una commedia capace di esportare, dietro la risata ed i numeri oratori da giocoliere del suo protagonista, la visione desolata e stanca di un universo politico al sapore di naftalina. Non ci si deve far ingannare nemmeno dalla precisa collocazione geografica della vicenda. Nonostante il mattatore televisivo Tom Dobbs sia impegnato in una costante dissacrazione dell’amministrazione americana, non risparmia stoccate di una certa profondità ad altre realtà politiche. Così accanto ad evidenti e poco sottintesi riferimenti alle elezioni “scippate” da Bush, si ricorda l’elezione in Italia di Cicciolina alla Camera dei deputati. In questo modo l’indipendente Dobbs, rifiutando qualsiasi schieramento politico, corre per diventare l’inquilino della Casa Bianca dimostrando come il livello politico occidentale si sia tristemente livellato verso una mediocrità esasperante. Attraverso l’utilizzo di uno stile documentaristico che bene rende soprattutto nelle scene della campagna elettorale, il film cerca di risvegliare da un lungo e sfibrante torpore sociale, ricordando quanto fondamentale sia l’intervento dei cittadini per determinare la realtà in cui dovranno vivere. Scomodando proprio un leader del passato, possiamo ricordare che John F. Kennedy disse : ” Non chiedetevi cosa il vostro paese può fare per voi, ma cosa voi potete fare per lui.” Certo in modo diverso e con numeri da giullare Robin Williams si prende gioco del “re”, del potere costituito, per invitare tutti ad una maggiore consapevolezza nei confronti di un paese che non è certo formato in prevalenza da camere e parlamenti, ma da un popolo che dovrebbe poter essere parte attiva nel destino politico della propria nazione. Levinson non è certo nuovo a queste tematiche e riflessioni, basta ricordare anche Sesso e potere, ma questa volta riesce a veicolare storia e messaggio con più forza ed impatto grazie proprio alla chiave comica che tutto dissacra e denuda. Certo in alcuni momenti la costruzione narrativa subisce dei rallentamenti, o meglio si lascia sedurre da alcune ingenuità di troppo. Ma alla fine dei conti l’anima di questo film è la forza dirompente di Williams che, abbandonate le atmosfere un po’ zuccherose delle pellicole per famiglie, si lascia sedurre dalla sfida mimica ed oratoria di Dobbs. Durante la sequenza del confronto politico Williams irrompe nella scena come un uragano annunciato da possenti folate di vento e che, improvvisamente, si sviluppa in tutta la sua potenza senza alcuna possibilità di controllo. Una vera esplosione verbale ed umoristica attraverso la quale le assurdità del nuovo millennio diventano evidenti e perfino risolvibili. Peccato che sia solo un film.
di Tiziana Morganti