Dopo un’odissea durata per ben venti anni, Tony Scott riesce finalmente nel suo intento di realizzare Man on Fire, tratto dall’omonimo romanzo scritto nel 1980 da A.J. Quinnell (uno pseudonimo dietro il quale si nasconde un autore rimasto ancora oggi sconosciuto). Un progetto che Scott, pur appoggiando fin dal primo momento con entusiasmo, abbandonò per dirigere Top Gun, prendersi il merito di lanciare un giovanissimo e sconosciuto Tom Cruise nel panorama dello ‘star system’. Un’avventura dalla quale il regista, oggi, si e lasciato coinvolgere grazie alla spinta produttiva di Lucas Foster e all’apporto narrativo di Helgeland (candidato all Oscar per L.A. Confidential e per Mystic River), utilizzando uno sguardo innovativo e coinvolgente. Rinnovata la prima stesura, sostituite le originarie ambientazioni italiane oramai divenute anacronistiche, la vicenda acquista il pregio di tratteggiare il più tradizionale ritratto di un antieroe attraverso un metodo registico freneticamente incalzante e tecnicamente innovativo. La connotazione narrativa e quella di un ‘action movie’ che, comunque riesce a stupire e coinvolgere al di là della mera esplosione di violenza e vendetta che caratterizza la parte conclusiva. Ogni elemento è veicolato dal legame emotivo esistente tra Creasy (Denzel Wasghinton) e la giovane Pita (Dakota Fanning), motivo di rinascita e rivalsa per l uomo soggiogato da seri problemi di alcolismo. Certo le fondamenta dell intero intreccio e la particolarità dei dialoghi fanno riferimento alla piu classica consuetudine cinematografica dei film d’azione, ma l’intensita emotiva viene scandita ed amplificata dalla scelta, rivelatasi felicissima, di utilizzare un talento eccezionale come quello di Dakota.
Con uno sguardo lucido e adulto ed una fisicità tanto composta e trattenuta, l’attrice di Mi chiamo Sam sembra concretamente scavare nel profondo del suo partner, assumendosi il compito di guidare ed imporre tempi emotivi ben precisi. Nonostante la sua giovane età, la sua presenza scenica e l’intensità dell’interpretazione segnano il confine ritmico, il passaggio da una narrazione intimistica ad una vera e propria esaltazione della velocita e dell azione. Quando Dakota esce di scena e come se ci trovassimo catapultati all interno di una vicenda totalmente diversa che Scott fotografa attraverso delle metodologie assolutamente all’avanguardia. Il suo intento sembra essere quello di creare un ‘action videoclip’ dove l’attenzione dello spettatore viene catturata e tenuta immobile sulla vicenda attraverso l’utilizzo di una fotografia aggressiva e da continui assalti visivi. Per ottenere questo impatto visivo Scott e Cameron, direttore della fotografia anche per Collateral, hanno deciso di utilizzare più cineprese collocate sullo stesso asse di luce, ed una macchina regolata a mano per ottenere una accelerazione od un rallentamento del movimento (si tratta di una tecnica gia utilizzata per il cinema muto. L’effetto ottenuto è sicuramente stupefacente, per non dire appariscente. Il film non è tuttavia privo di difetti: primo tra tutti la sua eccessiva durata, che piu che completare la vicenda nella sua totalità, stordisce aumentando l’insofferenza nei confronti di una fine che sembra non arrivare mai.
di Tiziana Morganti