Cappuccetto Rosso e il pene. Letteralmente: perché tra organi maschili sfiorati, maneggiati, assaggiati (beninteso non mostrati perché un bel divieto ai 18 anni non conviene a nessuno) non c’è scampo e, d’altra parte, all’immagine di Cappuccetto Rosso sperduta nel bosco Luca Guadagnino non vuol rinunciare per raccontare in Melissa P., suo quarto lungometraggio (prima produzione della Bess Movie di Francesca Neri), quella che lui dice «Una storia di formazione ma dal punto di vista femminile». Così questo era l’amo e con questo ha pescato nel mare (o, più propriamente, nel laghetto) delle strombazzate pagine firmate da Melissa Panarello che dei suoi Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire, che fendono strati di dolori, fellatio, lacrime e sperma, ha fatto un manifesto adolescenziale, un diario pubblico della solitudine in cui si stritola ogni adolescenza. Ma in questo film che da oggi è sugli schermi italiani in trecento copie, neppure le trucide storie di sesso lacerante e spicciola violenza delle pagine originarie si salvano (e, infatti, la scrittrice, dopo aver iniziato a collaborare alla sceneggiatura, si è allontanata dal progetto, non accompagnerà il film nel tour promozionale e, al momento, non lo ha neppure visto): qui si procede a tentoni, edulcorando con l’accetta o, in alternativa, con immagini che per cromatismi, luce sfumata e tratteggi color arancio fanno invidia a tanti domestici spot.
Di più: quando il flou non imperversa, si gioca con inutili zoomate su mani, dita, frammenti di corpo che vorrebbero indicare, suggerire, rimandare e che, invece, appaiono solo vagamente feticistiche, mentre tutto intorno è eccesso, schematico e manicheo, dalla cecità di una madre incapace (Fabrizia Sacchi tra poco mamma che si confessa «Atterrita da questa donna tanto da stentare a credere che madri così esistano davvero») all’esasperante anticonformismo della nonna (Geraldine Chaplin, che giura di aver ricordato la propria solitudine recitando e di voler tanto «Essere come questa nonna capace di aiutare i miei nipoti reali ad affrontare la loro solitudine di giovani»), al cinico pansessualismo dei giovani maschi e non solo, perché inverosimili e rozzamente strumentali sono anche i personaggi minori, dal custode del museo Claudio Santamaria al provocatorio insegnante Carlo Antonelli al frequentatore di chat erotiche Marcello Mazzarella. Solo lei, la diciottenne spagnola Maria Valverde mostra almeno qualche momento di credibilità nella sua inquietudine senza sbocco, nel suo sporgersi continuamente verso un vortice, nel desiderio di annichilimento, nella vergogna mista a tenerezza che la disorienta.
Lei che oggi dice: «Credo di aver capito il personaggio di Melissa ben più di quanto possa fare una donna adulta, anche se tutti, poi, sono stati giovani, hanno lottato con i genitori e scoperto il sesso. L’ho capita anche se non mi somiglia per nulla, l’ho capita e in certi momenti mi sono specchiata in quegli stati d’animo, anche perché alla fine questo è più un film sulla solitudine che sul sesso, anche se il sesso è ciò che si vede ed è un film più dedicato ai genitori che ai figli, forse. Perché non tutti gli adolescenti sono come quelli che si vedono nel film, ma quelli esistono e, se esistono, è colpa dei genitori e di un’educazione sbagliata». Ma ciascuno gira come vuole o come può e, d’altra parte, la sceneggiatura firmata a sei mani dallo stesso regista, da Barbara Alberti e dall’ipertelevisiva Cristiana Farina non aiuta. Ciò che lascia davvero perplessi è la lettura che, poi, si fa di queste operazioni. «Per me questo è un racconto di formazione e spero che molti giovani vedano il film, che il film possa parlare loro, che possano specchiarsi in questa storia che finisce con un amore vero. Ma è anche una storia di formazione attraverso il sesso che è fondamentale per un giovane: io l’ho vista come una sorta di fiaba di una cappuccetto rosso che cerca la sua via nella foresta». Così il regista e non ci conforta sapere che, invece, per la protagonista, questa odissea tra sessi, solitudini e stereotipi è la ricerca di «Una principessa, come siamo un po’ tutte, che vuole a tutti i costi il suo principe e magari sbaglia».
di Silvia Di Paola