Una solida, intensa amicizia per sopportare la violenza. E’ il fulcro di Tori e Lokita, il film di Jean Pierre e Luc Dardenne, Premio speciale a Cannes, nelle nostre sale dal 24 novembre con Lucky Red. Una storia profonda e commovente sull’amicizia tra due minori giunti in Europa non accompagnati che lottano insieme contro l’ostilità del Paese che li ha accolti, il Belgio. I due registi belgi, che hanno fatto dell’attenzione agli ultimi la cifra del loro cinema, tornano a raffigurare il reale e le difficoltà degli emarginati per far riflettere gli spettatori, spezzare i luoghi comuni, i pregiudizi sul diverso.
Un ottimo film, necessario, soprattutto in questo momento di confuso e inconcludente dibattito europeo sugli sbarchi. Assolutamente da vedere per chiarirsi un po’ le idee al riguardo e, soprattutto, da far vedere nelle scuole, a partire dalle elementari, per educare i nostri fortunati ragazzini ad affrontare con normalità il diverso, a capire che c’è chi non vive solo di social e videogiochi. Come dimostra la drammatica realtà dei protagonisti di questa storia, un bambino e una ragazza adolescente che hanno affrontato da soli un difficile viaggio per lasciare l’Africa che li ha profondamente legati affettivamente. Lui è accolto nelle strutture per minorenni, lei invece, essendo adolescente, ha un permesso di soggiorno a termine. Per evitare il rimpatrio dichiara che lui è suo fratello, ma gli assistenti sociali non le credono e le negano i documenti. I due ragazzi possono fare affidamento solo sulla loro profonda amicizia per resistere e trovare una possibile via d’uscita. La loro situazione di adolescenti abbandonati, sfruttati e umiliati è una forte denuncia della situazione violenta e ingiusta vissuta da tanti di questi giovani in Europa.
“Per Lokita e Tori, provenienti dal Camerun e dal Benin, l’amicizia è un valore aggiunto fondamentale – spiegano i due registi belgi presentando il film a Roma -. Non si tratta solo di essere presenti l’uno per l’altro, di aiutarsi a vicenda a pagare i contrabbandieri, a regolarizzare la propria situazione, a trovare lavoro sul mercato nero, inviare denaro alle famiglie. Si tratta anche di non poter stare l’uno senza l’altro, di amarsi come fratello e sorella, di formare una famiglia per non rimanere soli nel buio con i propri incubi, per lasciarsi consolare da un gesto, da una parola o da una canzone, per non sprofondare nella solitudine e negli attacchi di panico”.
La macchina da presa mette in primo piano i loro giochi, gli scambi di oggetti, le canzoni che cantano insieme, i gesti di tenerezza reciproca. “Ci siamo concentrati sui dettagli dei loro corpi, dei gesti, degli sguardi e delle parole – confermano i fratelli Dardenne-, delineando questa amicizia che permette loro di resistere alla prova data dalla loro difficile condizione di esiliati e si rivela il rifugio di una preziosa dignità umana, preservata in mezzo a una società sempre più dominata dall’indifferenza, se non addirittura dal cinismo dei propri interessi. Il nostro più grande desiderio è che alla fine del film, il pubblico, che avrà provato un profonda empatia per questi due giovani esiliati e per la loro amicizia, provi anche un senso di rivolta contro l’ingiustizia che regna nella nostra società”.