L’attacco è fulminante, essenziale, condito di quello humour a cui i fratelli Kaurismaki ci hanno abituato: un paesaggio finlandese innevato, la voce di Mika che narra di come 30 anni fa dette via un disco dei Deep Purple per uno di esotica musica brasiliana, il sogno di un viaggio in mare verso il Brasile bruciato da uno sciopero dei marinai. Molti anni e molti ascolti dopo, Mika torna in Brasile per rendere omaggio a una cultura ricchissima in cui la musica ha ancora funzione chiave nella definizione delle identità di gruppo. Identità e appartenenza sono concetti chiave di quella conservazione delle radici che per i brasiliani non ha solamente valore folclorico, ma profondamente simbolico. Suonare la musica degli antenati è l’unico modo per pensarsi e percepirsi come “collettività” che, in qualche modo, resiste: alla penetrazione dell’Occidente, all’assimilazione culturale, al progressivo impoverimento dei rituali collettivi. Un sistema di valori che è al contempo affascinante e alieno per il nostro occhio europeo, abituato ormai al processo di individualizzazione della produzione e della fruizione musicale. Kaurismaki sceglie sorprendentemente l’ottica dell’etnomusicologo puro, che non arriva da lontano a far pesare il proprio bagaglio di conoscenze, non sceglie apertamente il “confronto”, ma si propone come mezzo per la rilevazione dell’esistente.
Come narratore non chiosa e non commenta, si limita a brevi interventi descrittivi. Parte dalla poverissima regione di Pernanbuco, nel nord est, e percorre quattromila kilometri verso il mare nel tentativo di dar conto della vastità di tradizioni musicali diverse, dovute alle contaminazioni tra cultura degli Indios (i primi a ballare e cantare in Brasile), dei portoghesi, dell’Europa continentale. Fortunatamente, a riscattare dal punto di vista estetico un progetto pensato primariamente come testimonianza, ci pensa la combinazione tra l’afflato umanistico e stradaiolo di Mika Kaurismaki e quella meravigliosa e vitale dignità che caratterizza la gente brasiliana. Ben presto la classificazione di stili musicali diviene racconto di persone, di facce di fronte alle quali è difficile non commuoversi, di luoghi specifici e di storie che esaltano il ruolo salvifico del fare musica. Vecchi e giovani comunicano, si influenzano, si rendono omaggio vicendevolmente, perché un cordone ombelicale non è stato ancora reciso, perché guardare indietro lì è ancora sinonimo di ricchezza e saggezza, e non di inerzia nostalgica. E alla fine sorprende l’assimilazione al contrario. Mika il finnico, l’uomo del nord, decide di restare a Rio: per meglio comprendere tutto questo, per meglio giovarsene.
di Giorgio Nerone