Il direttore della fotografia di Spike Lee Ernest Dickerson trasforma la città di Los Angeles in un palcoscenico shakespeariano dove la voce di un defunto, come in una sorta di Viale del tramonto, ci guida alla scoperta della vita di un re dei diseredati, King David (DMX), autoritratto romanzato dello scrittore galeotto Donald Goines, assassinato nel 1974 e ispiratore di questo film. Goines, che venne definito lo “Shakespeare del ghetto”, fu un pregiudicato che scrisse decine di libri, dentro e fuori la galera, per pagarsi la droga, ma che ottenne un successo imprevedibile. Il rapper DMX (vero nome Earl Simmons) interpreta il gangster King David, criminale elegante quanto estremamente violento, che torna alla sua città natale alla ricerca di redenzione e dove invece trova una morte violenta. Ma la morte di un re non è sempre come la si vorrebbe, e King David ha la sventura di spirare tra le braccia di un bianco, il giornalista Paul (è il David Arquette di Scream che somiglia maledettamente al cantante Holly Johnson con qualche chilo in meno).
Paul non è diverso solo perché bianco ma anche per il suo poco interesse per i soldi: a lui interessano di più le cassette lasciate nell’auto di King David con i suoi ricordi e le sue riflessioni sulla vita di un gangster, un materiale che può valere oro nella mani di chi è in grado di valorizzarlo. I nastri a poco a poco rivelano, con colpo di scena finale, che il ciclo di violenza che le azioni di David hanno innescato gli si è ritorto contro, come anche lui aveva previsto. Dall’illustre substrato della “gangsta culture” nata nei lontani anni ’30 Dickerson non riesce a tirar fuori un’opera che sia per qualche verso interessante, almeno non quanto lo possa essere la vita di Donald Goines, per conoscere la quale ci sono però altri strumenti, migliori di questo inutile e trascurabilissimo film.
di Alessio Sperati