Oggigiorno un autore codifica una maniera e il successo della sua operazione si calcola sui riverberi che riflette a livello di produzione condivisa e di grande pubblico. L’autore in questione è ovviamente Tarantino che, con il centrifugato misto di generi, linguaggi,e stereotipi più disparati di b-movie, fumetti e televisione anni Settanta (ma non solo), ha costruito un vero e proprio genere a sé stante, i cui caratteri più riconoscibili e superficiali sono l’atmosfera da noir o da gangster film, un umorismo macabro e assurdo, violenza portata al paradosso della gag, dialoghi taglienti e in bilico tra non sense e densità filosofica. Una ricetta insomma e si capirà che laddove un regista abbia abbastanza occhi, gusto e tecnica da mettere tutti gli ingredienti al punto giusto, un film efficace nasca quasi da sé. Da questo punto di vista Nicotina, pellicola messicana campione di incassi in patria, i requisiti per funzionare li ha tutti e, osservandolo solo nell’ottica della funzionalità di un prodotto, risulta un divertente intreccio di umorismo paradossale e assurdo da Grand Guignol. Insomma ci si trova di fronte ad un divertimento cupissimo orchestrato con ribadito cinismo da Hugo Rodriguez, il quale prima si immerge con voluttà nel grottesco di esistenze comunissime di Città del Messico e poi, rovesciando addosso alle sue figurette un’occasione insperata (l’apparizione di una partita di diamanti di contrabbando), ne fa esplodere i desideri repressi, dando vita ad un fuoco d’ artificio di eventi caratterizzati dal massimo squallore possibile.
Come dire che, sia agendo sia reprimendo i propri desideri, l’unica realtà che ci si ritrova davanti sia quella di personaggi miserandi e segnati dalla mediocrità e dall’ avidità. Certo, poi si vorrebbe sapere se dietro questo brillante esercizio di Hugo Rodriguez ci sia qualcosa della sostanza teorica di Tarantino oppure solo tecnica smaliziata di un abile epigono (anche se forse è ingiusto qualificare come epigono un regista che ha cominciato a fare film lo stesso anno in cui ha debuttato Tarantino, il ’93). E qui il giudizio si fa più difficile, poiché davanti alla visione di un singolo film di un regista, non risulta poi automatico stabilire se l’ambivalente uso della metafora del fumo (desiderio liberatorio, ma anche minaccia, segnale inquietante delle poco edificanti pulsioni dei personaggi), o l’utilizzo intensivo dello ‘split screen’ in vece del montaggio (tutto il film ha una notevole fluidità narrativa, pure nel caos di una trama che tra le altre cose si dipana in un lasso di tempo che ha la stessa durata della pellicola, 92 minuti) garantiscano la presenza di una sostanziosa vocazione poetica. Forse, di fronte all’ uso insistito di alcuni vezzi stilistici, si pensa più a gente come Guy Ritchie (brillante in Lock & Stock e The Snatch, prima del colossale flop di Travolti dal destino) o a piccoli maestri messicani dell’action come Robert Rodriguez e Gore Verbinski (Hugo Rodriguez li seguirà un giorno nel calderone di Hollywood?). Ma è presto per dire qualunque cosa e, dopo la proiezione di Nicotina, non si può che ricorrere al più classico dei “se son rose fioriranno”. Si attenda con fiducia.
di Francesco Rosetti