Presentato a Roma il nuovo film di Ermanno Olmi, nei cinema dal 7 ottobre
«La libertà si paga con la solitudine». Lo sottolinea Ernanno Olmi presentando a Roma il suo film Il villaggio di cartone, passato fuori concorso all’ultimo Festival di Venezia e in uscita nelle sale il 7 ottobre con 01 Distribution. Un film claustrofobico, poetico, emozionante, dall’impianto volutamente teatrale, che utilizza i simboli della religione cattolica per parlare di diversità e solidarietà, di classi disagiate, delle varie “chiese” che ci condizionano la vita.
Scandito dalle suggestive musiche contemporanee di Sofia Gubaidulina e dall’ottima interpretazione di Michael Lonsdale con Rutger Hauer, Alessandro Haber, Massimo De Francovich. Olmi l’ha girato in gran parte nel Palazzetto dello Sport di Bari dove, sul campo di gioco, è stato allestito il set: una grande chiesa che viene sconsacrata. Il vecchio parroco assiste disperato alla rimozione del grande crocefisso, dell’altare, degli arredi sacri. Ma dopo questa sacrilega dismissione la chiesa diventerà una nuova casa di Dio, senza altari dorati. Un rifugio per miseri esseri umani, in questo caso un gruppo di africani clandestini di ogni sesso e età in cerca di una rivincita.
Olmi aveva in progetto di girare un documentario su tutte le nostre coste per cercare cosa fosse rimasto della nostra civiltà. «Siamo di fronte a un grande cambiamento – spiega il regista lombardo – e siamo in ritardo sulla storia perché troppo preoccupati a diventare più ricchi. Volevo tornare alle origini delle nostre culture millenarie, ma mi sono ritrovato immobilizzato a letto per oltre due mesi e invece di andare io in cerca delle nostre radici culturali ho convocato quello che ne resta al mio capezzale».
«Oggi viviamo un grande cambiamento, come si muovono le merci nei mercati globali si muovono anche gli esseri umani. È stupido pensare di poter fermare questo movimento, è la storia che lo impone. È la premessa a una nuova idea di civiltà. Sarà un nuovo rinascimento, portatore di una nuova civiltà». Olmi sostiene che vanno eliminate tutte le “chiese” che ci rassicurano, ideologiche e laiche, come le Borse, la cultura, le comunità strutturate, i partiti.
«Per Cristo tutti gli uomini sono una chiesa – spiega -. L’idea di un idolo che ci protegge ci rende idolatri, dobbiamo affrontare il discorso della libertà individuale. Che però ha un costo altissimo: la solitudine». Che anche lui, racconta, ha provato. «Mi sento solo perché non pratico la ‘chiesa’ del cinema, sono felicemente libero di non appartenere ad alcuna chiesa. Sono sempre stato orfano. Se non paghiamo questa tassa morale saremo sempre sudditi. La vera solidarietà, dice convinto, non passa dal denaro ma dall’aprire le nostre porte agli altri».
«Mi sono sempre occupato delle classi disagiate perché le altre non le conosco – sottolinea -. C’è chi l’agiatezza se la merita, anch’io sono agiato rispetto alla mia nascita. Ma c’è qualcosa di offensivo in chi possiede grandi ricchezze, anche se paga tutte le tasse, sottrae comunque qualcosa agli altri». Il film è un apologo, secondo un modello di rappresentazione teatrale, di cartone appunto. «Guai a leggere questo film come realistico – ammonisce Olmi -. La sublimazione è fatta dall’immagine e dalla parola-simbolo. I personaggi parlano come libri stampati, sono delle icone».