Uscito nelle sale di tutto il mondo nella data simbolica del 6 giugno 2006 (6-6-6 come il numero dell’Anticristo), Omen – Il presagio, remake dell’omonimo film di successo del 1976 con Gregory Peck e Lee Remick, riporta sugli schermi la storia di Damien, il figlio del diavolo destinato a far trionfare il male sulla Terra. Cavalcando l’onda propizia dei rifacimenti di classici dell’horror americano che sta invadendo gli schermi negli ultimi tempi, il film di John Moore si presenta come una fedele riproposizione della pellicola originale, di cui rispetta la sceneggiatura e la psicologia dei personaggi. A cambiare sono lo stile e naturalmente gli effetti speciali, all’avanguardia rispetto a quelli del film di trent’anni fa. Immerso in un’atmosfera gelida, quasi trattenuta e metafisica, il nuovo Omen si caratterizza per un sapiente susseguirsi di pochi colpi di scena e numerosi momenti in cui il regista preferisce soffermarsi sui rapporti tra i personaggi. La visione della famiglia che ne esce fuori ha poco di confortante. Da un lato c’è una madre (interpretata dalla non espressiva Julia Stiles) che a poco a poco perde la fiducia nel marito, distratto dal lavoro, e soprattutto nei confronti di un figlio che sente come un estraneo e che la terrorizza con il suo comportamento freddo e inquietante; dall’altro c’è un padre (l’ottimo Liev Schreiber) diviso tra carriera e amore verso i suoi cari, incapace di capire che qualcosa di terribile sta accadendo all’interno della sua famiglia, se non quando oramai è troppo tardi per rimediare.
Intorno a questo nucleo domestico ruotano alcuni personaggi apparentemente secondari, ma decisivi nello sviluppo dell’azione, in primo luogo la baby sitter impersonata da Mia Farrow, tornata al cinema dopo tanti anni proprio per questo film di genere. È lei la vera sorpresa del film: con il suo fascino androgino, rimasto inalterato nel tempo, l’attrice riporta immediatamente alle atmosfere malefiche e conturbanti di uno dei capostipiti del sottogenere satanico del cinema horror, il Rosemary’s Baby di Roman Polanski. Accanto alla figura di questa portavoce del male, sempre circondata di aggressivi rottweiler e di nero vestita, vi sono il personaggio del prete veggente (il bravo Pete Postlethwaite di Nel nome del padre) e quello del fotografo in cerca di risposte. Molto ricercato a livello visivo, con forti contrasti nei colori e nel gioco di luci e ombre, il film di Moore si svolge in ambienti particolarmente suggestivi. L’Inghilterra, rappresentata in modo realistico come una terra spazzata dal vento e dal freddo, piovosa e malinconica, si contrappone a un’Italia inesistente, regno di paura e culla del male. Lo spettatore italiano rimane spiazzato nel vedere Cerveteri, Subiaco e Roma totalmente inventate: le prime avvolte nella nebbia e coperte di neve, l’ultima luogo principe dove le azioni malefiche dell’Anticristo giungono a compimento e patria di un clero misterioso e inquietante in perenne lotta con il Male assoluto.
di Simone Carletti