Una serena famigliola con prole al seguito si trasferisce in una elegante e fatiscente magione tra i boschi dello stato di New York per sfuggire alla caotica vita urbana e dimenticare qualche incomprensione. Ma quella che doveva essere una fuga dall’incubo cittadino si trasforma presto in una pericolosa indagine sull’oscuro passato delle villa, un tempo teatro di strani avvenimenti ad opera dei precedenti inquilini che si rifanno vivi reclamandone la proprietà e molestando la quiete domestica con strani incidenti. Il paranormale e l’horror, a dispetto del furbo titolo italiano, non c’entrano, e a leggerla così la trama di Oscure presenze a Cold Creek sembrerebbe nulla di particolarmente originale, ed in effetti non lo è. Dietro la macchina da presa c’è Mike Figgis, l’osannato regista di Stormy Monday e Via da Las Vegas che, dopo aver fatto vincere l’Oscar a Nicolas Cage l’Oscar e la Coppa Volpi (immeritata) a Wesley Snipes per Complice la notte, tenta ora il (vano) recupero di due ex-star del bel cinema che fu. Dennis Quaid è infatti il padre di famiglia che cerca di venire a capo degli inquietanti accadimenti tra le mura della villa, e sembra cavalcare la scia di un rinnovato successo dopo il bel film di Todd Haynes (Lontano dal Paradiso) e gli imminenti blockbusters Alamo e L’alba del giorno dopo; è poi un piacere reincontrare Sharon Stone, sexi-icona bionda e brava degli anni ’90 – di cui negli ultimi tempi si erano perse un po’ le tracce anche a causa di ben noti problemi di salute – nei panni della moglie diffidente ed impaurita che aiuta il marito a fare luce sul mistero.
Purtroppo, entrambi sono gettati al vento. Figgis, che negli ultimi tempi si era concentrato su progetti sperimentali e innovativi con cineprese digitali (Hotel e prima ancora Timeline, purtroppo da noi pressochè inediti), armato della saggezza e dell’esperienza acquisita grazie a questo nuovo approccio alla cinematografia, ha d’improvviso deciso che era giunto il momento di intraprendere una strada nuova. E, udite udite, ha fallito in pieno. Oscure Presenze a Cold Creek è telefonatissimo, ingenuotto come thriller e pasticciato nella messa in scena, con gridolini d’obbligo alla vista di serpenti, strizzatine cinefile irritanti, occhiate torve che non vanno da nessuna parte e conflitti padre-figlio da filodrammatica. Il tema della “casa” è buttato via senza nessun interesse, forse perché anche troppo abusato, e il finale è tra i più risibili “psyco-endings” mai visti. Dell’invisibile Figgis si notano appena lievi accenni di fumosa condiscendenza verso i personaggi secondari e verso le piccole, solite magagne di provincia che la gente del luogo sembra nascondere, ma è ben poca cosa. Stephen Dorff fa Stephen Dorff, ossia il cattivo (che novità), ma almeno mostra per la gioia delle sue fan il muscoloso petto abbronzato; Christopher Plummer fa nostalgia inchiodato ad un letto, e la ribelle Juliette Lewis sarebbe ora la smettesse con questi ruoli da disagiatella. Il film è stato pensato per la tv via cavo americana, d’accordo: ma che per “mangiare” alcuni registi anche importanti si debbano ritenere giustificati girando simili ciofeche, questo proprio no.
di Francesco De Belvis