Cosa c’è di più spaventoso che ricevere nel cuore della notte una telefonata sul cellulare proveniente da un numero sconosciuto e sentire attraverso l’auricolare suoni misteriosi e grida femminili senza senso? Il regista coreano Ahn Byung-Ki sa bene che quella del telefono veicolo di paura e terrore è una delle fobie umane più incontrollabili e ricorrenti, soprattutto sul grande schermo: da Il terrore corre sul filo alla trilogia di Scream, passando per 976: chiamata per il diavolo, sono tanti e diversi i titoli in qualche modo collegati al mezzo telefonico inteso come porta dell’Inferno, come chiave d’accesso a un mondo sovrannaturale in cui il Male regna sovrano. Non si presenta dunque come una novità Phone, prodotto orientale ad uso e consumo di un pubblico anche occidentale. Che i registi coreani siano maestri nel creare atmosfere opprimenti, torbide, raccapriccianti, è un dato di fatto; ma non sempre essi poi riescono a inserire in tali atmosfere racconti plausibili o perlomeno coerenti da un punto di vista narrativo. Proprio i buchi e gli assurdi contorcimenti della sceneggiatura costituiscono il difetto maggiore del film di Byung-Ki, poiché non permettono allo spettatore un possibile coinvolgimento personale. Inoltre l’opera non spaventa (e questo sì che è un difetto imperdonabile per un film di paura), a causa di una regia alquanto disattenta e a una recitazione degli attori non sempre all’altezza della situazione. Non basta infatti una fotografia caratterizzata da toni scuri e densi, un montaggio frenetico e un uso del sonoro troppo insistente per creare sequenze di puro terrore, se a sorreggere il tutto mancano poi la credibilità, il realismo e la coerenza. Dispiace soprattutto veder buttato via un plot narrativo di sicuro interesse, che in mano a un regista più esperto avrebbe potuto portare alla realizzazione di un vero e proprio gioiellino di orrore orientale. Poiché l’idea di una donna uccisa per gelosia e murata viva con il suo cellulare, per mezzo del quale inizia a telefonare a tutte le sue vittime, non solo è notevole, ma è anche di grande originalità creativa, una di quelle idee che solo il cinema orientale riesce a partorire. Come già è accaduto per il precedente The Ring, sembra quasi inevitabile attendersi un probabile remake americano poiché, come già accennato, gli ingredienti per piacere a un pubblico occidentale vi sono tutti: dalla casa infestata alla bambina posseduta, dall’uso distorto di un oggetto domestico come il cellulare alla presenza di un passato che è meglio nascondere.
di Simone Carletti