Se Pinocchio si fa robot. Se l’elementare, semplice, pezzo di legno di un tempo andato si trasforma in un complesso congegno di contatti e chip, succede che il problema della sua capacità di sentire non sta più nell’umanità che trasuda dalle pelle stessa ma in un’altra capacità che è l’individuare il bene e il male (metaforicamente resi in versione ecologica) e che è un traguardo per il Pinocchio dotato di intelligenza artificiale. Apparentemente più complessa della favola antica del burattino, in realtà ben più semplicistica, certamente più povera e appena manichea potrebbe risultare quella del Pinocchio dell’anno 3000, P3K: Pinocchio 3000 che dal 5 gennaio sarà sui nostri schermi, firmato da Daniel Robichaud che ha tentato di proiettare la più classica delle storie in un mondo che più futuristico non si può, partendo dalla creazione di un piccolo super-robot che di nome fa Pinocchio, che è ingenuo come il suo gemello di legno e che dovrà impantanarsi e poi tirarsi fuori, malconcio ma salvo, dagli stessi errori di sempre. Solo che qui la domanda che gli ronza in testa è se è meglio diventare un bambino o restare un robot. Mentre il povero (come sempre) Geppetto, qui geniaccio strampalato dal cuore d’oro e indefesso programmatore, affronta ancora ogni avversità per proteggerlo come può e altri personaggi appaiono, reinventati ma con una fantasia ben più modesta e, nonostante le apparenze, prosaica.
Simili e dissimili nel contempo da quelli tradizionali, prima fra tutti Cyberina, l’olografica fatina della situazione, che di turchino non ha più nulla ma in compenso ha le fattezze di una sirena in caricatura, la chiassosità di una ragazzetta che sa il fatto suo e la magia che le è dovuta. A lei spetta la realizzazione dell’impossibile: trasformare il robot Pinocchio in un bambino. E tutto il resto di magie di passaggio. Lei, che nell’originale parla con la voce di Whoopi Goldberg, nella versione italiana è “doppiata” da Platinette che, come oggi chiosa, ha «Tentato di dare un’interpretazione che desse peso ed esaltasse la vivacità della fatina, oltre che il suo senso dell’umorismo, per fare in modo di rendere la figura di una fata come non l’avete mai vista, una fatina di quartiere». Di più: una fatina combattente che giura di essersi trovata a suo agio nei panni di fata. Come dire: c’è una prima volta per ogni cosa. Ma, per chi è cresciuto pensando al sogno di Pinocchio come al sogno di ogni evoluzione, di ogni iniziazione e di ogni autonomia possibile, il Pinocchio robot immerso negli incubi tecnologici è solo un’altra storia con un protagonista che per caso di nome fa Pinocchio.
di Silvia Di Paola