Roman Polansky rispolvera l’ottocentesco ma mai così attuale Affair Dreyfus nel suo nuovo, magnetico film L’Ufficiale e la spia, nelle sale dal 21 novembre, con Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Grégory Gadebois. Sull’onda di vicende indecenti come quelle sul caso Cucchi, la recrudescenza di dimostrazioni di antisemitismo, non si può non restare affascinati da come il regista mette a fuoco un problema su cui si deve continuare a discutere, coinvolgendo soprattutto le nuove, ignare generazioni.
Il 5 gennaio 1895, il Capitano Alfred Dreyfus, promettente ufficiale, viene degradato e condannato all’ergastolo all’Isola del Diavolo con l’accusa di spionaggio per conto della Germania. Fra i testimoni di questa umiliazione c’è Georges Picquart, che viene promosso a capo della Sezione di statistica, la stessa unità del controspionaggio militare che aveva montato le accuse contro Dreyfus. Ma quando Picquart scopre che tipo di segreti stavano per essere consegnati ai tedeschi, viene trascinato in una pericolosa spirale di inganni e corruzione che metteranno a rischio non solo il suo onore ma la sua vita.
L’affare Dreyfus è uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia, avvenuto in Francia tra il 1894 e il 1906 e che vide protagonista il soldato ebreo francese ingiustamente accusato di essere una spia e quindi processato per alto tradimento. Dreyfus sostenne fermamente la sua innocenza combattendo contro un’intera nazione. Il suo caso ebbe una notevole risonanza mediatica dividendo l’opinione pubblica del tempo, tra chi ne sosteneva l’innocenza e chi lo riteneva invece colpevole. Tra gli innocentisti si schierò Émile Zola, il quale scrisse un articolo in cui puntava il dito contro il clima di antisemitismo imperante nella Terza Repubblica francese. Tale intervento venne intitolato proprio J’Accuse. Polanski ha scritto la sceneggiatura insieme a Robert Harris, autore del romanzo da cui il film è tratto.
Di cosa parla il film?
Dell’Affare Dreyfus, un soggetto che è rimasto nella mia testa per molti anni. In questo vasto scandalo, probabilmente il più grande della fine del 19° secolo, si intersecano errori giudiziari e antisemitismo. Per dodici anni, l’Affare Dreyfus divise la Francia, portando scompiglio anche nel resto del mondo. Ad oggi è uno dei simboli dell’ingiustizia politica e di cosa si possa arrivare a fare in nome dell’interesse nazionale.
Perché ha scelto proprio questa storia?
La vicenda di un uomo accusato ingiustamente è sempre affascinante, inoltre è un tema estremamente attuale vista la recrudescenza dell’antisemitismo. Quando ero molto giovane, vidi il film Emilio Zola e rimasi scosso dalla scena in cui il capitano Dreyfus viene disonorato, mi dissi che un giorno avrei dovuto girarci un film. Nel gennaio del 2018 Alain Goldman si è proposto di produrre il film in francese, ne sono stato felicissimo, abbiamo cominciato a girare a novembre.
Come ha scelto il cast?
Il premio Oscar Jean Dujardin mi è sembrato perfetto per interpretare il colonnello Picquart: gli somiglia fisicamente, ha la stessa età e per giunta è un grande attore. Un film di questa importanza ha bisogno di una star.
Il colonnello Picquart è il protagonista principale del film.
E’ un personaggio affascinante e complesso: non è un fervido antisemita ma non gli piacciono gli ebrei. In quanto ufficiale del controspionaggio, quando scopre che Dreyfus è innocente decide di scoprire la verità ma gli viene intimato di tacere: l’esercito non avrebbe mai potuto commettere un simile errore! Decide di agire secondo coscienza animato dal bisogno di conoscere la verità piuttosto che di ubbidire all’etica militare. E man mano che la verità affiora, è sempre più inorridito dalla gravità dell’errore. È uno di quegli eventi storici che tutti pensano di conoscere, ignorandone però la reale essenza.
Il film fa ben capire la sfida politica e morale che affronta il protagonista.
Lo definirei un giallo. La storia è narrata da un punto di vista completamente soggettivo, il pubblico condivide ogni fase dell’indagine con Picquart. Ogni evento fondamentale è autentico, sono le stesse parole che furono proferite allora, perché sono tratte dalle registrazioni dell’epoca.
Sarebbe possibile oggi un altro caso Dreyfus?
Con le nuove tecnologie sarebbe impossibile. Oggi abbiamo il diritto di criticare qualsiasi cosa, incluso l’esercito. Ma false accuse, pessime procedure giudiziarie, giudici corrotti, e soprattutto “social media” che condannano senza un processo equo e senza diritto di appello, potrebbero far ripetere un simile errore.