Giallo psicologico diretto da Andrea Bolognini, Raul – Diritto di uccidere prende vita da un soggetto ideato più di trent’anni fa da Mauro Bolognini (Andrea è il nipote), scritto poi da Suso Cecchi D’Amico e suo figlio Masolino con l’aiuto di Luigi Buzzoni, rinverdito e attualizzato oggi da nuovi sottotesti. Liberamente tratto da Delitto e Castigo di Dostoevskij, il film è ambientato nel maggio del 1938 a Roma, durante i giorni di visita di Hitler in Italia. Nello snodo della vicenda, partendo dalle location della capitale con i suoi casermoni popolari, si potrebbe supporre un thriller nato dalle ceneri di Una giornata particolare di Ettore Scola, se non fosse per la retrodatazione del progetto, che a suo tempo non trovò adeguati finanziamenti. Raul (Stefano Dionisi), giovane laureando in giurisprudenza si indebita con un’anziana usuraia, interpretata dalla compianta Laura Betti, per mantenersi economicamente, ed è sempre più in bilico in personaggi tormentati e cupi senza redenzione.
I tanti illustri cammei lasciano in disparte la carica umoristica ed ironica del suo talento (prevalsa in opere cinematografiche abbastanza modeste, in verità, come Bambola di Bigas Luna); non è da meno Violante Placido non del tutto convincente e ancora in cerca d’autore (per ora, la bella e giovane attrice ha dato il meglio di sé in Ora o mai più di Lucio Pellegrini e, poi, alcuni imbarazzanti passi falsi…). Intorno caratterizzazioni di gran classe, dal giudice Giancarlo Giannini, ad Alessandro Haber e Ernesto Mahieux, ma le musiche di Andrea Morricone non salvano l’opera da un andamento mesto e cadenzato fino al prevedibile finale. Sempre più spesso nel cinema italiano, la mancanza di finanziamenti e la poca voglia di rischiare da parte dei pochi produttori rimasti si accompagnano ad idee spaventosamente scialbe, che guardano sempre al passato, quasi che la realtà contemporanea sia orrendamente anticinematografica o, meglio, poco codificabile dagli stilemi usuali. Il tuffo nel passato, quindi, a torto o a ragione, prende un’aria di chi a priori scarta ogni confronto con il presente, rischiando un pessimistica fiction anteguerra assai poco appetibile.
di Vincenzo Mazzaccaro