Che Jamie Foxx sia attore e “one man show” di talento sembra essere oramai una considerazione incontestabile ma che la sua istrionica attitudine allo spettacolo riesca a fondersi rispettosamente con le immortali melodie composte ed interpretate da Ray Charles portando sullo schermo una biografia che tratteggia le linee fondamentali di un’esistenza umana forgiata dalla lotta, dalla debolezza e dal talento, è una sorpresa che entusiasma. Diretto da Taylor Hackford Ray non solamente è un omaggio dignitoso e realista nei confronti di un uomo che seppe trasformare il suo universo sonoro in leggenda, ma costituisce un’esperienza complessa ed impegnativa per la cura rivolta ai particolari fondamentali per la sua realizzazione. Tra le dettagliate scenografie capaci di riprodurre fedelmente i vari cambiamenti culturali e sociali vissuti dalla società americana tra gli anni ’50 e ’90, Hackford punta il suo occhio indiscreto ed indagatore su un Jamie Foxx che, spogliatosi della sua personale identità, indossa la cecità, la passione ed il sorriso di chi seppe fondere il blues, il gospel, il jazz ed il rock’n roll in un’unica melodia capace di infiammare un’intera nazione. Ogni singolo movimento è riprodotto con una fluidità priva di mistificazione. Il ritmico dondolarsi di fronte al pianoforte, la rispettosa concentrazione rivolta nei confronti di quella musica che diede alla sua esistenza la possibilità di riscattarsi da un’infanzia di povertà e malattia, offrono all’attore l’opportunità di una prova che sembra andare oltre la rappresentazione, sfiorando la completa immedesimazione.
Un risultato che si percepisce con maggior forza nei momenti in cui alla star Ray Charles viene chiesto di lasciare il passo semplicemente a Ray, l’uomo dall’accentuata sensibilità, sedotto dall’ammirazione che sembra circondarlo, soggiogato dalla dipendenza alla droga ma mai dimentico di essere un umile figlio della Georgia. È proprio questo particolare che riesce a fare la differenza. Questo cercare ed indagare nel buio di una quinta, all’interno di un silenzio che risuona ancora più assordante dopo il clamore di un concerto attribuisce a Ray un valore aggiunto in grado di allontanarlo dal pericolo di una mera opera commemorativa. Ed ancora ogni singolo shot, ogni inquadratura realizzata da Hackford, ogni piccola ed impercettibile espressione fisica di Foxx si orchestra con la musica che dilagante si intromette tra le ombre della vita e le luci sfavillanti del palcoscenico, sostenendo un impegnativo duetto tra l’inebriante illusione del successo e la dura realtà del quotidiano. Mess Around, Unchain My Heart, I Can’t Stop Loving you, Bye Bye, Love per terminare con Georgia On My Mind rappresentano molto di più di un’accurata colonna sonora. Orchestrate, riarrangiate, ascoltate in live queste note rappresentano le emozioni che Ray continuò a sussurrare per il resto della sua vita, esaltando un dialogo che condusse alla genialità.
di Tiziana Morganti