Da L’idolo delle folledel 1942, Rocky, Quella sporca ultima meta, Il ribelle fino al ben noto Fuga per la vittoria il cinema americano pullula di film dedicati allo sport, laddove questo viene inteso e vissuto sempre come atto di riscossa umana e sociale. Dunque nulla di nuovo nemmeno in questo caso se non fosse che D.J. Caruso ha scelto di trattare il problema da un punto d’osservazione del tutto diverso, relegando sullo sfondo le problematiche riguardanti la purezza dell’atto sportivo. Fortunatamente Rischio a due ci proietta all’interno del più sporco ed ambiguo mondo delle scommesse dove facili sentimentalismi e buonismi sono lasciati decisamente fuori dalla porta. Un giudizio, questo, che non vuole essere eccessivo ma che saluta con piacere una storia di genere totalmente diverso all’interno della quale ciò che viene messo in discussione è l’uomo con lo spettro completo delle sue debolezze. Dunque nessun interrogativo sul significato ancestrale dello sport bensì un indagine volta tra le ombre delle scommesse televisive per vedere quanto il denaro e la dipendenza al gioco possono incentivare all’autolesionismo.
Nonostante il film soffra per alcuni momenti di lentezza eccessiva in cui la narrazione sembra non decollare completamente e la vicenda subisca una certa freddezza formale, Caruso ha avuto il pregio e la fortuna di avere a sua disposizione un Al Pacino (Walter) in stato di grazia che, affiancato da un ottimo Matthew McConaughey (Brandon), ha dato vita ad un faccia a faccia dal carisma catalizzante. Nonostante la presenza rilevante di Renè Russo, questo è un film prettamente al maschile, al’interno del quale entrano in gioco meccanismi complessi dove al rispetto per un padre putativo si sovrappone la gelosia e l’incertezza del futuro. Chi rimarrà vittima di questo gioco? Chi dei due scommetterà una vita intera perdendo miseramente? Caruso non fornisce spiegazioni dettagliate a riguardo. Ciò che conta è il prima. Il rapporto, l’affetto, il costruire e plasmare per poi rinnegare e comprendere allo stesso tempo. E come tradizione vuole alla fine la marionetta si fa uomo ed abbandona il suo creatore ma Al Pacino rimane comunque il miglior burattinaio.
di Tiziana Morganti