Sono passati più di quindici anni dal quinto episodio di Rocky cui teneva moltissimo, ha superato la cocente delusione per lo scarso successo allora ottenuto e ora Sylvester Stallone torna sul ring per dare una sorta di riscatto finale al suo Balboa perché “solo un mito può mettere fine a una leggenda”. Perciò dopo questo sesto capitolo da lui scritto, sceneggiato, diretto e interpretato, che la Foxspalmerà da venerdì nelle nostre sale e che conclude la saga trentennale che nel ’76 gli portò onori e gloria (Oscar come miglior film, regia e montaggio), Sly chiuderà l’esistenza anche di Rambo. Avverrà nel IV episodio,L’occhio del serpente, per il quale l’attore, autore e regista sta per cominciare a buttar giù il difficile copione, si sta allenando coi pesi per assumere un aspetto taurino e ha già fatto rifornimento di abbigliamento stile “mimetico” in lussuose boutique capitoline. Stallone è infatti approdato per un paio di giorni a Roma (senza consorte) per promuovere il suo ultimo Rocky: nel pomeriggio ha fatto shopping (abiti e decine di paia di scarpe…), ha gradito menù e brindisi sostanziosi, ha sfilato di sera per l’anteprima Vip sul red carpet dell’Auditorium, tra fumi, musica e schermi disseminati tra la folla di fan che assiepava via della Conciliazione, e nelle prime ore della mattinata seguente ha incontrato brevemente la stampa, curiosa di sapere soprattutto come un signore sessantenne sia riuscito a rimettersi in forma per non sfigurare sul ring contro un avversario con la metà dei suoi anni. Anche se ci resterà solo una decina di minuti perché, spiega Stallone “più che di boxe il film parla del viaggio della vita. Ho voluto scrivere quanto sia dura – racconta -, le ferite che ti lascia, come liberarsi dalla rabbia avendo sempre qualcosa per cui combattere. Ho usato il combattimento come esempio per far capire che un anziano può avere la stessa passione di un giovane. Gli eroi saranno sempre necessari, fanno cose straordinarie nel nome dell’amore”. Per l’ex campione Rocky Balboa la gloria è un ricordo del passato, da raccontare ai clienti del suo accogliente ristorante che ha chiamato Adrian’s, come l’adorata moglie scomparsa prematuramente. E’ profondamente solo: l’unico figlio Robert (Milo Ventimiglia) ha preso le distanze per non restare schiacciato dalla sua fama e neppure la salda amicizia col cognato Paulie (Burt Young) lo scuote dal torpore. Ma nel suo cuore è ancora un combattente. L’incontro casuale con Marie (Geraldine Hughes) , l’ex ragazzina che nel primo film salvò dalla strada e che lo mandò sonoramente a quel paese, ricrea quel legame umano di cui entrambi hanno un disperato bisogno, coinvolgendo anche il problematico figlio adolescente di lei.
Quando gli propongono di affrontare, in modo più spettacolare che reale, il giovane, invincibile ma poco amato dal pubblico campione in carica dei pesi massimi Mason Dixon (interpretato dal vero campione dei mediomassimi Antonio Tarver) per ridar smalto e mordente agli incontri, Rocky afferra un’ opportunità che non sperava più di avere per dimostrare a se stesso e a coloro che ama che puoi sempre vincere le tue lotte interiori, che non si tratta di quanto duro puoi colpire ma di quanti pugni riesci a incassare, che l’unica cosa a cui devi dare ascolto è il tuo cuore.“Ho impiegato molti anni per fare questo film – racconta Sylvester -, l’MGM non amava questa idea, ma ci sono sogni che all’improvviso si realizzano. Avevo paura e questo mi ha fatto lavorare più sodo. Se il film funziona aiuterà altri attori non più giovani a non mollare: è una vera sfida a Hollywood”. Lo ha dunque scritto per i suoi coetanei, ma pare stia piacendo di più ai giovani. “Forse amano la filosofia del film – dice Sly -.Non sono un maestro ma è con l’esempio che impari, e Rocky è nobile, forte”. Stallone ha evitato i teatri di posa, girando in sole cinque settimane in luoghi reali, con risorse limitate per infondere alla pellicola lo stile “povero” che riflettesse i personaggi, sfruttando come comparse gli spettatori assiepata in un palazzetto dello sport di Las Vegas per un vero incontro di boxe. Anche i pugni sono veri, assicura, e c’è pure MikeTyson che interpreta se stesso. “Volevo creare un eroe semplice, senza movimenti di macchina complicati perché Rocky non si muove molto – spiega –. Quando ti strappano il cuore devi reagire, devi far esplodere il dolore in modo fisico altrimenti ti distrugge. Quel combattimento lo fa andare avanti nella vita. Ma come ha fatto Slya riconquistare la forma? “Con un allenamento molto duro, ma non con un body-builder, con un sollevatore di pesi, alla mia età potevo farmi male più facilmente, avevo una ventina di chili in più di quando ho girato il terzo Rocky”. Non segue diete speciali: “Un giorno mangio malissimo, il giorno dopo sto a dieta, mi alleno una sola ora tre volte alla settimana ma senza sosta, mi sento meglio di venti anni fa”. Affronterà così anche il prossimo Rambo? “E’ una sorta di western moderno, non voglio farne un sequel, questa volta sarà la sua fine. Ha vissuto vent’anni nella jungla, è diventato una sorta di bestia che deve tornare all’umanità, dovrò allenarmi con grossi pesi per diventare una specie di gorilla”. Nega che Rocky possa tornare ancora, per sfidare un alieno: “Mi hanno chiesto un film con Rocky che combatte Rambo – sorride -. Vincerebbe Rambo, non ci sarebbe combattimento!”. Si sente italiano al cento per cento: “Il mio approccio alla vita è artistico, appassionato, come penso sia per voi. Adoro le auto veloci ma non ho una Ferrari perchè non guido tanto bene. A questo punto della mia carriera mi sembra di aver vissuto dieci vite, ho avuto fortuna, voglio recitare, scrivere, dirigere i giovani, nella vita si deve cercare di essere più cose possibili. Mi piacciono i film corali, che emozionano e coinvolgono gli spettatori, spero di farli così in futuro”.
di Betty Giuliani