Piccoli registi crescono. Francesco Munzi, trentacinquenne autore romano, con all’attivo numerosi (e pluripremiati) cortometraggi ed un primo lungometraggio (I girasoli), sbarca a Venezia con il film Saimir, presentato nella sezione “Venezia Orizzonti”. Il regista torna a parlare di immigrazione e di un rapporto conflittuale tra padre e figlio, vissuto in un ambiente di microcriminalità. Racconta la difficile realtà comune a molti extracomunitari nel nostro Paese, vista attraverso i problemi più spinosi che la caratterizzano: la clandestinità, il lavoro nero sottopagato, la prostituzione, l’emarginazione. Dalla narrazione traspaiono gli interrogativi che il regista si pone: perché un individuo diventa un criminale? Come sarebbe se fosse nato da genitori diversi, se fosse cresciuto in un ambiente agiato, senza il quotidiano problema di come procurarsi il pane? Per chi non sembra avere alternative, la strada del crimine appare obbligata? «Questa non è vita» dice più volte il protagonista, Saimir. Strano sentire pronunciare questa frase da un ragazzo di soli sedici anni. Strano ma poi non così tanto quando si consideri che Saimir è un giovane albanese non perfettamente integrato tra i suoi coetanei nella cittadina del litorale laziale dove vive con suo padre.
Non ha amici se non i giovani Rom che lo portano con sé quando c’è da commettere qualche furtarello. Non ha una ragazza: quella di cui si è innamorato ha paura di lui. Ancora di più la sua sensazione trova spiegazione quando si consideri che il ragazzo è costretto ad aiutare suo padre Edmond nei suoi traffici illeciti. Le atmosfere del film sono cupe, tristi, fino a diventare angoscianti; i colori spenti, le ambientazioni, il cielo quasi sempre plumbeo: tutto sembra gridare il malessere e la frustrante rabbia per un tipo di vita da cui Saimir si sente schiacciato ma a cui alla fine si ribellerà. Fedele alla scelta fatta già in precedenti opere, Munzi rappresenta ancora una volta persone e personaggi che rompono con qualcosa di costituito, che cercano di andare oltre. Attori professionisti e dilettanti si mescolano bene. Tra tutti emerge, nel ruolo del padre, Xhevdet Feri, comunicativo ed emozionante interprete, molto conosciuto in Albania soprattutto per i suoi lavori teatrali. Saimir è Mishel Manoku, uno studente di Tirana alla sua prima prova di recitazione. Altrettanto giovane é Lavinia Guglielman (la fidanzatina di Saimir), già apparsa in numerose fictions televisive e che a Venezia era già stata con La ballata dei lavavetri di Peter Del Monte.
di Patrizia Notarnicola