Dagli schermi di Cannes ci arriva questo documentario del regista cileno Patricio Guzman, uno dei tanti del suo curriculum cinematografico, la maggior parte dei quali dedicati alla storia del suo paese natio, osservato e ritratto con nostalgia e analisi critica dal suo status di esiliato in Europa. Il suo ultimo lavoro ripercorre la storia di Salvador Allende, presidente cileno dal ’70 al ’73, dall’infanzia trascorsa a Valparaiso fino alla fine, tragica, l’11 settembre 1973, suicidatosi mentre il suo palazzo subiva i bombardamenti delle forze armate di Pinochet. Lineare nella sua realizzazione, l’opera di Guzman non è volta a ricercare stilemi o bizzarrie, ma a raccontare, a tornare indietro nel tempo con gustosi materiali di repertorio per una presa consapevolezza ad opera del popolo cileno del proprio difficile passato e del suo rapporto con un uomo che lo ha in qualche modo radicalmente influenzato. La curiosità di Guzman va ad indagare anche nelle opinioni dei suoi connazionali, mettendo in luce come queste siano cambiate dal periodo della reggenza di Allende al periodo seguente e coinvolgendo nel dibattito anche personaggi illustri come l’ambasciatore USA in Cile. Per molti infatti Allende è stato soltanto una pedina troppo scomoda in quel gioco di potere USA-URSS ed è interessante che Guzman ne renda testimonianza da punti di vista diversi e a volte contrastanti.
di Alessio Sperati