Come reagisce l’essere umano quando non ha scelta? Quando il grado di civiltà dell”homo erectus’ viene meno permettendo manifestazioni di istintività felina? L’esperimento cinematografico dell’esordiente James Wan è volto proprio a dare una risposta al quesito e se ci riesce è soltanto per brevi momenti, quando tra le oscure atmosfere del racconto, il thriller nelle sue citazioni ed evoluzioni, non finisce per contorcersi ed arrovellarsi ai limiti della parodia. Il dottor Gordon (Cary Elwes) e il fotografo Adam (Leigh Wanwell anche co-sceneggiatore del film) si ritrovano incatenati per una gamba alle robuste condutture fognarie di un bagno pubblico apparentemente abbandonato; in mezzo a loro c’è un cadavere con la testa perforata da un colpo di pistola che ancora impugna con la mano sinistra, mentre nella destra ha un dittafono. I due malcapitati hanno così modo di conoscere il loro supplizio attraverso la voce registrata del serial killer, dal curioso nome di un villain di Batman, che ha la pretesa di insegnare a tutte le sue vittime, e a loro in primis, l’alto valore della vita. Il dottor Gordon deve uccidere Adam se vuole rivedere moglie e figlia vive e per farlo ha le più diverse opzioni. L’alternativa è amputarsi la gamba con una sega messa cortesemente a disposizione dal padrone di casa.
Mentre le armi di Jigsaw colpiscono per la loro sadica complessità, l’arma principale di James Wan è proprio la struttura circoscritta del racconto, la semplicità della situazione e la costruzione dell’attesa amplificata non solo dall’apposizione di un orologio al centro del bagno, ma anche dalle svolte deduttive che il film prende quando sembra che sia tutto chiarito. Peccato che Wan e Wanwell di proprio mettano solo la genuinità dell’idea mentre tutto il resto è un mantecato di citazioni da Oriente a Occidente senza esclusione di cult (fa piacere ritrovare anche il nostro Profondo Rosso). Considerato tuttavia il costo relativamente ridicolo del film (un milione e duecentomila dollari) e il suo incasso negli States (oltre 55 milioni), evento che crea inevitabili paragoni con l’altro fenomeno degli ultimi anni The Blair Witch Project, è chiaro che ogni critica stilistica lascia il tempo che trova. Registicamente si sarebbe potuto fare meglio, escludendo Danny Glover e Monica Potter il resto del cast fa letteralmente ridere e la fotografia di David Armstrong è giustamente costruita su algidi neon nella camera principale mentre nel resto delle scene è una continua penombra, a volte irritante. Eppure il film riesce a sorprendere, segno che l’equazione del thriller è stata risolta correttamente e che, se per insegnare l’alto valore della vita il fine giustifica i mezzi, nel caso di un regista esordiente i mezzi se li fa perdonare.
di Alessio Sperati