Una storia d’amore e di lotte sociali tra latifondisti e contadini sono al centro del film L’Ultimo Paradiso, scritto e diretto da Rocco Ricciardulli, prodotto e interpretato da Riccardo Scamarcio con Gaia Bermani Amaral, Antonio Gerardi, Valentina Cervi, che andrà in onda dal 5 febbraio su Netflix che l’ha prodotto in associazione con Mediaset.
La pellicola, ricca di colpi di scena, è ambientata nel 1958 in un piccolo paese del sud Italia, nella ruvida Murgia pugliese, dove un giovane contadino (Scamarcio) lotta contro chi da sempre sfrutta i più deboli. Sposato e padre di un bimbo è segretamente innamorato della figlia di un temuto proprietario terriero che da anni sfrutta i braccianti. Vorrebbe fuggire all’estero con lei e rifarsi una vita ma una serie di eventi inizierà a sconvolgere le loro esistenze e niente sarà più come prima.
Una storia d’amore, di appartenenza, originale, atipica, di chi resta e sogna di andare via e di chi se ne è andato e sogna di tornare. Un’Italia che sembra tanto lontana ma dove certe dinamiche non sono poi così cambiate. Allora andavano a lavorare i campi da zone vicine, oggi sono gli extracomunitari a essere sfruttati, in balia del caporalato.
Per Scamarcio è una doppia sfida, da attore e da produttore. “Le risorse erano scarse, ci siamo rimboccati le maniche, come per zappare la terra – racconta l’attore pugliese presentando il film online con il regista e le colleghe-. E’ una storia di lotta di classe, di chi ha nostalgia delle proprie radici. L’Italia ha prodotto una migrazione importante, nel film ci sono atmosfere che ho vissuto anch’io da bambino, per me è un ritorno alla terra, anche se in fondo non me ne sono mai andato, c’è un legame molto forte con la mie radici, dietro Castel del Monte c’è una Murgia molto suggestiva, è anche lei una protagonista della pellicola”.
“L’idea è stata quella di ritrarre il meridione raccontatomi – spiega Ricciardulli, nativo della Basilicata, che ha rielaborato una storia vera raccontatagli da bambino da sua madre -. Un sud aspro e bellissimo che assiste con indifferenza ai drammi della sua gente, sovrastandola coi suoi silenzi. In campo l’antica lotta tra libertà e oppressione, tra giustizia e prepotenza. I due giovani amanti vogliono cambiare la propria condizione a qualunque costo, e sono pronti a sfidare il loro destino. E’ la nobiltà del ‘contadino’ che si esprime in loro, che lascia trasparire una forza e una dignità ormai perduta”.
Ha scelto inquadrature precise e movimenti essenziali per mettere in evidenza i sentimenti dei personaggi, per esprimerne a pieno la loro autenticità. “Ho cercato di raccontare il conflitto e la tensione, evocando alcune atmosfere western, che stanno nelle terre bruciate, nella caratterizzazione netta dei personaggi e nel modo che hanno di scontrarsi – spiega il regista-. Le scenografie degli interni sono costruite con pochi elementi fortemente connotati ed evocativi. Oggetti ‘simbolo’ di un mondo contadino, che raccontano la fatica e le difficoltà delle famiglie, oltre ai desideri trattenuti nel pudore. Le musiche scritte da me e con mio fratello Pasquale ci trascinano in un mondo fatto di rassegnazione, ma anche di speranza. Senza troppe descrizioni e virtuosismi di riprese, ho voluto raccontare un pezzo della mia terra e il suo ancoraggio a un mondo arcaico dove lo Stato, ancora oggi, non sa dare risposte alla mancanza di opportunità che impera ancora in quelle aree”.