Un thriller scolastico, realizzato con stile, e hitchcockiano quanto basta per non aver bisogno di parole per farsi capire, una pellicola fatta di luci ed ombre, azzardi di macchina, ed una giusta sonorità. Dalla prima sequenza già capiamo le ragioni molto ambiziose di una storia dove i dialoghi non avranno molto spazio, tanta sarà l’attenzione verso i gesti immateriali di uno sguardo, verso simboli come il fanta-thriller di Tom Robbins Villa Incognito adagiato su uno scaffale e verso una luce che vaga incontrollata per la tetra e sporca villetta di legno di Mort Rainey (Johnny Depp), scrittore in fase di acuta depressione post-separazione. Poco importa se il breve racconto di Stephen King Secret Window, Secret Garden, il secondo nella raccolta Four Past Midnight, cui il film si ispira, ricorda molto La metà oscura, e poco importa se l’autobiografismo estremo che coinvolge sia l’autore del racconto che quello del film David Koepp, sarà il filo conduttore del plot, se entrambi possono arrivare a considerare il più grande degli orrori una penna che si ferma o un letto che si svuota, o entrambi conseguentemente. Nulla che non possa essere facilmente condiviso. Ma a trasformare la solitudine in paranoia, ossessione, e patologia, prezioso è stato l’apporto dell’autore di Panic Room, Koepp appunto, che in quanto a fobie sa sicuramente dire la sua e sa come rendere l’espressione claustrofobica di una prigionia, sia essa fisica o mentale. Il film inizia con una perla di stile, una solenne intrusione nella non-vita di Rainey: la mdp entra dalla ‘secret window’, fa il giro del solaio, inquadra uno specchio che lo riflette mentre dorme su un divano al piano sottostante, entra nello specchio e raggiunge Rainey. Una premessa di incoerenza con la realtà, quasi a dire “fate attenzione a ciò che vedrete perché non è reale”, concetto oltremodo ribadito nel corso del film. John Turturro è un’ombra, che ricorderebbe molto il Reverendo Harry Powell ne La morte corre sul fiume, se il suo dialogo non fosse così primitivo e sussurrato. Ma anche lui, come il regista, non ha bisogno di parole per spaventare, perché la sua aura di terrore lo segue e si amplifica in sua assenza. Questo vero e proprio ‘terrore dell’assenza’ viene esercitato attraverso la minaccia ed amplificato da una serie di elementi sia fisici che psicologici quali i fogli del suo famigerato ‘romanzo copia’ che Rainey cerca di eliminare ma che gli tornano inesorabilmente davanti, o ancora (dotato di una maggiore forza iconica) il suo cappello, mistifica la sua assenza e fa pressante la sua ossessione, ma per questo bisogna ringraziare Wes Craven. David Koepp non aveva bisogno di una sceneggiatura folta, né di un budget così alto, perché il film avrebbe funzionato lo stesso, anche, probabilmente, senza Johnny Depp.
di Alessio Sperati