Il rock è qualcosa che dovrebbero iniettare nelle vene fin da piccoli, insieme alla vaccinazione antitetanica magari, e la sua storia andrebbe studiata al pari di quella della musica classica. Ha un suo linguaggio, padri fondatori, pionieri e ricercatori, eroi che hanno immolato la propria esistenza alla sperimentazione, ecc. Ma di tutto questo cosa sanno le nuove generazioni? Cosa arriva loro del ‘glam rock’ anni ’70 ad esempio, al di là delle chiome cotonate e delle tute aderenti coperte di strass? A questo deve aver pensato Mike White quando ha scritto questo School of Rock, che sfrutta la carta sempre vincente dei bambini al cinema in maniera non banale e divertente. Nei panni dello snaturato professore non poteva che esserci l’amico Jack Black, qui più che mai istrionico e improvvisatore. È lui la colonna portante dell’intera pellicola, il fulcro che tiene in piedi tutta la vicenda: Black canta, si arrabbia, suona la chitarra e lascia a briglia sciolta la sua verve esplosiva, in uno scoppiettante susseguirsi di gag, brutte figure, situazioni paradossali… La classe diventa un palcoscenico sul quale si tiene uno spettacolo ininterrotto, dove i piccoli attori non solo devono suonare, ma devono assimilare l’essenza stessa del rock, farlo proprio, lasciarselo scorrere dentro.
Il rock è analizzato in tutte le sue sfumature: dagli artisti più importanti della storia e le loro canzoni, fino ad arrivare allo stile di vita, agli abiti, ai movimenti sensuali e scatenati, ai gesti volgari, le espressioni facciali… Tutto è esaltato nel minestrone adrenalinico servito caldo dal professor Black e i piccoli talenti che recitano nel film non sono da meno del loro scatenato insegnante. Tutti suonano e cantano veramente, ognuno di loro ha avuto la sua parte per la realizzazione della colonna sonora (che oltre ai pezzi originali, comprende dei brani a dir poco epici): loro sono veramente la School of Rock e tra loro nessuno viene preso in giro perché è ‘uno strano metallaro’. L’unico rammarico è per la versione italiana: purtroppo il doppiaggio penalizza fortemente un film come questo, in cui il protagonista (che nella vita non è molto diverso, visto che compone, canta e suona il rock tutti i giorni con il suo gruppo, i Tenacious D) passa continuamente dal parlato al cantato, in cui il significato dei testi delle canzoni è spesso fondamentale alla comprensione dei dialoghi e la traduzione crea non solo differenze di voce, ma disagi che alle volte stonano fortemente anche alle orecchie meno musicali. In anni di riforme dello studio, la proposta di un progetto simile potrebbe non essere poi così assurda: in fondo il falso professor Schneebly prende in considerazione ogni figura professionale di una rock band: dai musicisti, ai tecnici, ai costumisti, alle figure manageriali, fino ad arrivare alle groupie! E magari, spiegata con una chitarra in mano, persino l’algebra risulterebbe meno noiosa…
di Federico Aliano