Nei cinema dal 13 dicembre il tanto atteso sequel firmato Rian Johnson
Amara delusione. Ecco la triste sorpresa di chi arriva in sala carico di mesi di spasmodica attesa. Non si è trattato di anni per fortuna, perché da quando il franchise è stato acquisito dalla Disney, di Star Wars movies se ne devono realizzare categoricamente almeno uno all’anno tra saga principale e spin-off.
Le premesse del secondo capitolo della terza trilogia ci sono tutte: il titolone a tutto schermo, l’intro-scroll e la maestosa marcia di John Williams. La pelle d’oca dura solo i pochi minuti iniziali, poi si spegne tra inseguimenti, esplosioni, voli mirabolanti e duelli alla Steven Seagal. Che bello quando il cinema si faceva nel garage di casa, prima delle multinazionali che devono piazzare giocattoli per Natale e che si portano dietro i cagnolini di cristallo, gli animaletti con grandi occhioni che piacciono tanto alle bimbe e ovviamente lo wookie che piace a chi come me ha più di quarant’anni e con la saga c’è cresciuto. Certo siamo andati oltre rispetto a Jar Jar Binks, dalla materna alle elementari, ma il target resta tutto sommato quello, del resto i soldi ce li mette la Disney mica Tezenis.
Eppure la curiosità era tanta dopo aver atteso due anni per trovare una giustificazione a quello sguardo da ebete di Mark Hamill alla fine dell’episodio VII. La spiegazione è chiara e semplice, Luke Skywalker “è” un ebete, lo è diventato dopo chissà quanti anni di eremitaggio su un isolotto sperduto. Luke trascorre le sue giornate tra pesca d’altura (ovvero a 20 metri sul livello del mare) e allevamento pupazzi di peluche “cercacoccole”. Ed è così che Rey (Daisy Ridley) fa molta fatica a trovare il maestro che sperava, tanto che nella dicotomia yin-yang l’eroina pare trovare più attrazione verso l’altra sponda, quantomeno più dinamica diremmo noi. Del resto alla protagonista della terza trilogia piace ringhiare e menare le mani e la prospettiva di allevare tamagotchi non fa proprio per lei. Ma niente paura perché se c’è una coerenza nel film di Rian Johnson sta appunto nel fatto che entrambi i grandi maestri sono dei perfetti imbecilli. Snoke, personaggio costato milioni di dollari di performance capture su Andy Serkis, si risolve a mera comparsa scenografica. La presenza del leader supremo “mi nonno vestito a festa” Snoke è solo la fragile premessa di un gustoso duello alla Tarantino ma nulla più.
A dire la verità manca spessore a quasi tutti i personaggi in gioco, non si costruisce nulla né sulle possenti spalle del Capitano Phasma (Gwendoline Christie), né e soprattutto su quelle di Rey che era e rimane la giovane contrabbandiera scavezzacollo che usa la Forza senza sapere come e perché. Lei sa che con la Forza si spostano le rocce e lei sposta le rocce! Oltre al fatto che Rey e Kylo Ren (Adam Driver) sono connessi in Facetime. Perché? Non si sa. A questo punto diremmo noi Luke si è fatto mesi di culo su Dagobah per diventare un imbecille?! Sì. L’assenza di ricamo e background lascia invero spazio a probabili universi editoriali paralleli, tra fumetti, libri, spin-off e serie tv, proviamo a darci una spiegazione così.
Per il resto gli elementi di base ci sono: battaglie nello spazio, su terra, il Millennium Falcon che piroetta all’interno di pertugi dove solo lui può passare e il tie-fighter no, Poe Dameron (Oscar Isaac) il pilota provetto che vola zigzagando tra i cannoni laser ma che non muore mai al contrario dell’intera flotta. Anche l’intuizione più fortunata di J.J.Abrams, il bullo viziato Kylo Ren, combattuto tra il bravo ragazzo di mamma Leia e l’emulo del ben più affascinante nonno Vader, non trova sviluppo alcuno. Un casco nero non basta più a far paura, anzi Mel Brooks è riuscito anche a riderci sopra tanto iconico fu quel villain. I tempi sono cambiati. Dagli anni ‘70, dove l’immaginario collettivo era riempito di allunaggi e Guerra Fredda anche un costume argenteo e un fucile laser potevano intimorire. Il mondo si divideva tra il fascino di Star Trek e il terrore del mondo senza legge di Interceptor. Oggi l’asticella si è alzata, tra tv e youtubers con macellazioni in tempo reale e a tutte le ore, a far paura è la normalità dell’essere umano diviso tra le sue mille contraddizioni e sfaccettature, altalenante tra lo yin e lo yang, tra il lato chiaro e il lato scuro, tra il mettersi in gioco e il ritirarsi in una solitudine senza impegno. Un nuovo umanesimo digitale dopo decenni di sogni spaziali, di missioni Apollo e sonde Voyager. Eppure gli esseri umani di Rian Johnson non hanno spessore, per averlo dovremo esplorare gli universi paralleli, tra app, videogiochi, libri e tv. Star Wars VIII è solo un elaboratissimo e lungo trailer per tutto ciò che verrà.