In sala dal 12 dicembre
Il valore di una società si valuta da come tratta i deboli. E chi è più debole di un morto, senza amici e parenti che lo accompagnino nell’ultimo viaggio? Se lo è chiesto Uberto Pasolini, che l’ha scelto come tema del suo splendido Still Life (secondo film dopo Machan) da lui scritto, diretto e affidato all’eccellente interpretazione di Eddie Marsan, che Bim porterà dal 12 dicembre nelle sale. Un film sul valore della vita, della vita degli altri, ambientato tra obitori, funerali e cimiteri, che potrebbe per questo sembrare difficile da digerire e invece suscita tenerezza, infonde fiducia nel prossimo, strappando anche qualche risata.
Il titolo, emblematico, spiega l’autore a Roma per presentare il film, vuol dire tante cose: da vita ferma, come quella del protagonista, ancora vita, quella cui va incontro, vita di immagini. “Lo spunto visivo del film per me era una tomba abbandonata – racconta Pasolini -, la tematica l’isolamento, la solitudine, con un finale coerente ma ottimistico. La sceneggiatura è cominciata dalla fine, non ho mai avuto dubbi sul finale”.
Leggendo un giornale londinese ha scoperto l’esistenza della figura dell’impiegato comunale addetto a organizzare i funerali delle persone sole. “Rimasi colpito dal pensiero di tante tombe abbandonate e di tante funzioni funebri deserte – spiega -. Mi fece riflettere sulla solitudine, sulla morte, su come la consuetudine del buon vicinato sia scomparsa, mi sono sentito in colpa di non conoscere i miei vicini di casa, ho cominciato a creare con loro qualche legame”. Si è chiesto come sia possibile che tante persone siano dimenticate e muoiano sole. “Il modo in cui trattiamo i defunti – sostiene – è un riflesso di come la nostra società tratta i vivi, il riconoscimento della vita passata di ciascun individuo è fondamentale per una società che voglia definirsi civile”.
Per raccontarlo descrive la misera, patetica, solitaria vita dell’ incolore impiegato comunale John May, incaricato dal distretto di South London di cercare qualche parente dei defunti. Diligentemente l’uomo, fa sopralluoghi nelle abitazioni degli scomparsi per raccogliere foto e ogni indizio che lo aiuti a far luce sull’esistenza di eventuali congiunti o amici che possano assistere ai funerali, ai quali solitamente è l’unico presente. Gli oggetti rinvenuti lo aiuteranno a mettere a fuoco le personalità dei deceduti, cui farà riferimento nello scrivere l’omelia funebre che l’officiante leggerà. Quando il suo ufficio viene ridimensionato per motivi economici e lui licenziato in tronco, John dedicherà tutti i suoi sforzi al suo ultimo caso, compiendo un viaggio liberatorio che finalmente lo farà aprire alla vita.
“Quello che si vede nel film è vero – spiega ancora Pasolini -, ho visitato appartamenti, funerali, cremazioni, conosciuto una trentina di officers, vivono in modo molto burocratico il loro lavoro. Ma alcuni hanno un forte senso della vita, soprattutto di quelle dimenticate, vogliono celebrarne il ricordo con un commiato positivo. In Inghilterra nel 70% dei casi non si trovano parenti e in pochi accettano di partecipare alle esequie, pur sapendo di non dover spendere nulla”.
Pasolini faceva il banchiere, ma ha scelto di dedicarsi al cinema. Si ritiene un privilegiato, che non ha alcun interesse a indagare nel suo strato sociale. “Il processo di ricerca è un’opportunità per scoprire realtà a me totalmente aliene – ammette -. Col film Machan volevo capire perché la gente lascia la propria cultura per il nostro mondo occidentale che spesso non mantiene ciò che promette. Questo film è stato una scoperta sociale e un viaggio personale. Volevo capire meglio cos’è l’isolamento nella nostra società occidentale, sempre più presente anche tra i giovani che preferiscono vivere l’amicizia in modo virtuale piuttosto che mettersi in gioco. Dopo il divorzio continuo a vedere spesso moglie e figlie, ma per la prima volta ho sentito cosa vuol dire entrare in una casa vuota. Il film è stata anche una scusa per un’analisi personale su cosa voglia dire essere soli in maniera costante, come il protagonista del film”. Sulla cui scelta non aveva dubbi. “La qualità del film sta tutta nell’interpretazione – dice -. Eddie mi aveva colpito per l’umanità che dava al personaggio di un precedente film con sole sei battute. Vederlo lavorare è affascinante, dà tantissimo facendo pochissimo. In Inghilterra è famoso per i suoi ruoli molto drammatici, è stato generosissimo, si è dedicato completamente alle scene con una maestria e una sensibilità estreme”. Spiega di aver voluto fare un film “a basso volume”, per catturare il subconscio dello spettatore. Come la musica, il movimento di macchina ridotto al minimo, colori tenui come la fotografia, che segue l’apertura della vita del protagonista. Una scelta davvero azzeccata.