Che i bambini siano le principali vittime non é un’affermazione retorica ma una realtà agghiacciante. Lo sono non solo per il dolore e le sofferenze ingenerati dalla morte e dalla violenza ma anche per quel carico di odio che si insinua nel loro animo e che non li lascerà neanche in futuro. Da grandi non dimenticheranno e continueranno a combattere forse come soldati, forse come terroristi. Accade in Russia e in Cecenia dove la regista finlandese Pirjo Honkasalo ha girato il documentario The 3 Rooms of Melancholia, per una tragica fatalità presentato all’ultimo festival del cinema di Venezia nei giorni in cui quattro terroristi ceceni massacravano centinaia di bambini in Ossezia. Il film, per realizzare il quale sono stati necessari tre anni a causa della mancanza dei visti da parte delle autorità russe, è diviso in tre parti (le “tre stanze” che rappresentano tre stati d’animo diversi). La prima è ambientata all’Accademia Militare di Kronstadt dove i piccoli allievi si svegliano all’alba, imparano a marciare a passo dell’oca vestiti con rigide palandrane e colbacchi, usano pesanti fucili. Non sempre la loro storia è nota. Molti sono orfani o figli di alcolisti. Qualcuno ha la madre soldatessa in Cecenia. Chi ha una famiglia a casa, può parlarci brevemente: “Chi troppo parla al telefono fa il gioco di chi ti sta spiando” avverte un cartello vicino alla cabina. Sono inquadrati, lo sguardo freddo e fiero. Eppure c’è chi scrive poesie. Intanto a Grozny i bambini ceceni giocano alla guerra per strada tra le macerie e i cani randagi. Saranno addestrati anche loro all’odio verso il nemico. Nella parte finale la regista ci porta nei campi profughi in Inguscezia, la più piccola delle repubbliche russe, confinante con la Cecenia. Qui vivono sessantatre orfani ceceni di cui si prende cura una donna straordinaria, Handizta Gataeva. Nonostante l’amore di Handizta la disperazione ha il sopravvento. Conosciamo Adam, dodici anni, salvo per miracolo: suo padre è stato ucciso in guerra, sua madre impazzita ha cercato di buttarlo giù dal nono piano. Milena ora ha diciannove anni e da sette vive con Handizta che l’ha accolta quando, a 12 anni, è stata stuprata dai soldati russi ed ha abortito al settimo mese di gravidanza. Di questo tenore sono le altre storie narrate. Il tema trattato è scottante e di urgente attualità. Peccato che il lavoro della Honkasalo sia onestamente difficile da seguire: lunghezza eccessiva, troppi silenzi, emozioni nascoste rischiano in più punti di spegnere l’attenzione del pubblico.
di Patrizia Notarnicola