Bernardo Bertolucci. Apolide, francofilo, cinefilo, combattivo, figlio della Nouvelle Vague e aiuto regista giovanissimo di Pasolini: difficile darne un giudizio lucido, sembra prendere su di sé il peggio e il meglio della settima arte, divenuta terapia, malattia, modo di vivere fuori dagli schemi, sempre arrabbiato verso i suoi concittadini. Sui suoi rapporti edipici mai risolti si è costruito una carriera internazionale, sulle censure e la presunta scabrosità di alcune pellicole (su Ultimo tango a Parigi ci fu il rogo e non in senso metaforico, in quanto a La Luna, tutto un finto plauso sulle solite tematiche incestuose…); un uomo che non accetta di vivere in un paese più che cattolico, bigotto. Da ultimo l’odio per la televisione, per i film in cassetta o in DVD, per le news, come se la magia ipnotica del tubo catodico togliesse cittadinanza a chi si ritrova “a casa” solo nel buio di una sala, seduto in prima fila, a catturare le prime immagini dei film.
I tre interpreti di The Dreamers (Eva Green, Louis Garrel e Michael Pitt) sono corpi grezzi che vivono attraverso il tempo scandito dalle sequenze di Godard, Rivette, Bresson o i gesti della Garbo o di Bette Davis come surrogato per una conoscenza di se stessi che non hanno ancora acquisito; l’americano Matthew porta scompiglio nelle esistenze incestuose di un fratello e una sorella che dormono nudi insieme, in modo inerme, come gatti che si annusano; l’innocenza statunitense del biondino è il passaporto per liberarsi dalla loro comoda ignoranza della realtà, li costringe a uscire fuori dalla strada. Il Sessantotto è già passato quando corrono tra i dimostranti, altre sono le scelte e in futuro rimpiangeranno l’essersi scannati se era meglio Keaton o Chaplin o ricorderanno, in modo banale, i loro venti anni.
Difatti, già per noi il film di Bertolucci è un ricordo, travolti più dall’evento mediatico che gli ruota intorno che su suoi reali meriti. Rimarrà forse il ricordo di una musica, di un gesto, di una postura, di un bacio, ma non abbiamo aderito a livello emozionale al “Progetto Nostalgia” del cineasta parmense. Ricordiamo infine che il film è tratto dal romanzo “The Holy Innocents” dell’inglese Gilbert Adair, esordiente come scrittore nel 1998, che si è guadagnato una certa credibilità come critico cinematografico.
di Alessio Sperati