Classificare The Polar Express come una semplice animazione vorrebbe dire non solamente sottovalutare tutte le innovazioni tecniche utilizzate per la sua realizzazione, ma soprattutto negare quella magica corrente che conduce lo spettatore in un particolare stato emotivo in bilico tra il sogno e la realtà. Basato su un racconto natalizio per ragazzi scritto da Chris Van Allsburg e realizzato dalla “follia” creatrice ed interpretativa di Robert Zemeckis e Tom Hanks (già insieme per Forrest Gump e Cast Away), si colloca al di fuori di una qualsiasi determinazione, imponendosi come un’opera unica nel suo genere. Grazie all’applicazione del “Performance Capture” (un’evoluzione del “Motion Capture” che permette di trasferire le performance degli attori ai personaggi digitali con risultati sorprendenti) questo moderno Canto di Natale realizza l’ambizioso progetto di trasporre e riprodurre fedelmente la realtà fisica e materiale, immergendola all’interno della più tradizionale atmosfera dickensiana. L’intreccio narrativo è semplice ed essenziale, eppure, magicamente, il piccolo ma significativo viaggio verso il Polo Nord compiuto da un ragazzo per incontrare Babbo Natale a trovare riposte ai suoi dubbi impressiona ed emoziona profondamente, risvegliando un sopito sentimentalismo infantile.
Complice la sensazione di trovarci di fronte ad un’animazione dotata di tangibilità e di corporeità, di una cura per i particolari scenici e per le ambientazioni che raggiunge elevati livelli pittorici, The Polar Express sembra riuscire nel tentativo di imporsi, pur nascendo come prodotto destinato esclusivamente ad un pubblico più che giovanile, all’attenzione di adulti ben disposti a lasciarsi trascinare dalle variabili interpretazioni di Tom Hanks. Il momento del risveglio, come lo ha definito lo stesso Zemeckis è uno stato tra il sonno e la veglia all’interno del quale è possibile percepire la realtà attraverso il filtro del sogno e dove è plausibile tornare a credere. Credere nuovamente nell’eccitazione e nell’ansia dell’infanzia, nella possibilità di toccare ciò che non è tangibile e nel comprendere nuovamente la magia dell’irrazionale. Credi. Ecco la parola chiave, la formula grazie alla quale narrativamente una semplice favola riesce a lasciare una traccia emozionale così netta nonostante l’utilizzo dei più classici e zuccherosi elementi natalizi. Un verbo capace di mostrare le varie sfumature dei suoi significati, donando ai più giovani l’emozione di un’avventura natalizia ed agli adulti una metafora più ampia sulla capacità di vedere o comprendere l’irrazionale senza mai smettere di meravigliarsi. Frank Capra nel suo La vita è meravigliosa (1948) aveva già segnato la strada rivelandoci la magia di un campanello al cui trillo un angelo metteva le ali, un suono acuto e vivace di cui si è riappropriato Zemeckis per continuare a guidare i passi della nostra innocenza.
di Tiziana Morganti