E’ bello e anche necessario essere diversi, mantenere la propria peculiarità. Lo sottolinea Tim Burton nel film Miss Peregrine, La casa dei ragazzi speciali, con Eva Green, Asa Butterfield, Samuel L. Jackson, Terence Stamp, Ella Purnel, Judi Dench, Chris O’Dowd, Allison Janney, Terence Stamp, nelle sale dal 15 dicembre con Fox.
Il film, tratto dall’omonimo romanzo, primo della trilogia di Ransom Riggs, sceneggiato da Jane Goldman restando fedele allo spirito del libro, girato tra Florida, Belgio, Cornovaglia, punta sul tema dell’accettazione di ciò che di originale e singolare esiste in tutti noi.
Per il cinquantottenne visionario regista californiano, infatti, non solo è importante accettare le differenze che ci caratterizzano, ma anche esserne orgogliosi. Lo ribadisce presentando a Roma questa inquietante, straordinaria e affascinante storia di crescita e maturazione, ricca di personaggi e situazioni fantastiche, di battaglie epiche e singolari manipolazioni del tempo.
Seguendo gli indizi lasciatigli dal nonno, Jake (Asa Butterfield, già strepitoso protagonista del film di Scorsese HugoCabret), scopre un rifugio segreto dove Miss Peregrine nasconde e protegge un gruppetto di ragazzi dai super poteri, minacciati di morte da potenti nemici. Una sorta di Mary Poppins cupa e coraggiosa, che crea un anello temporale in cui lei e i ragazzi vivono un unico giorno che si ripete all’infinito, proteggendosi così dai mali del mondo esterno.
Saltando avanti e indietro nel tempo Jake si accorgerà che la sicurezza è un’illusione e dovrà scoprire cosa è reale, di chi fidarsi, ma anche capire chi sia lui veramente.
Nel mondo attuale, ossessionato dai social media, mantenere la propria specificità è difficoltoso, ti portano facilmente a pensare di non essere abbastanza in gamba o di essere diversi, mentre dovremmo essere orgogliosi di ciò che rende ciascuno unico e dunque speciale, difenderlo e potenziarlo. “C’è una sorta di bullismo gratuito che mi infastidisce molto – spiega -. I ragazzi non si godono la vita come dovrebbero perché tutto gira intorno alla tecnologia che diventa protagonista della loro vita”. Il film esorta dunque ad essere se stessi e ad accettare non solo la propria unicità, ma anche l’originalità e la particolarità che sono parte di tutti noi.
Burton non conosceva il libro ma è stato subito colpito dal titolo che lo ha riportato alla sua infanzia, provando un forte legame col protagonista, un ragazzo che si sente strano, sempre fuori posto, soprattutto a livello interiore. “Mi ha stregato il modo in cui Ramson Riggs ha sistemato tutti gli ingredienti della storia, partendo ovviamente dalle vecchie fotografie che conservano mistero e poesia. Sono queste le storie che voglio ancora raccontare”. Ringrazia sua nonna e un insegnante d’arte che lo incoraggiavano a essere se stesso. “I bambini del film vivono la stessa situazione che ho vissuto io alla loro età. Mi sentivo normale anche se amavo i mostri. La normalità è un punto di vista, eppure ci si continua a soffermare su questa inesistente differenza, cercando di dividere costantemente il mondo in più parti, a schematizzare, classificare”. Invita a non smettere di cercare il bambino che è in noi, a non dimenticare momenti della nostra infanzia in cui qualcuno ci ha fatto realmente sentire diversi, speciali.