C’è un criminale noto come “T”, una sorta di “ghost dog” che prima lavorava segretamente, con la sua organizzazione, per il governo e che adesso vuole vendicarsi per l’eliminazione dei membri del suo clan. C’è un eroe, un super-poliziotto di nome Jay, la cui unica ossessione è acciuffarlo da quando, in una sparatoria, la donna che amava ha perso la vita. Infine c’è Kay, una fanciulla misteriosa che ha perso la testa per l’ombroso agente, tanto da entrargli di nascosto in casa per riordinarla (ma non è Hong-Kong Express di Wong Kar-way), anche se l’atmosfera della storia d’amore malinconica è simile). Lo scenario è la metropolitana, con il suo via-vai di passeggeri ignari, di piccoli delinquenti e di politici che si aggirano tra la folla, contornati da telecamere, in cerca di volti. Peccato che T abbia preso di mira proprio le stazioni metropolitane come luogo ideale dove inscenare un mega-attentato per ricattare il primo ministro Song e metterlo davanti alle proprie responsabilità. Con la determinazione di chi non ha nulla da perdere, T sequestra l’intero vagone ferroviario, su cui piazza quintali di esplosivo, allo scopo di farlo saltare in aria mentre passerà su un ponte ancora in costruzione, causando un eccidio. Peccato che sul vagone viaggino anche Jay e l’instancabile Kay. Gli otto minuti d’apertura della pellicola sono una pioggia di fuoco, incendi, tamponamenti a catena, inseguimenti, acrobazie motociclistiche e colluttazioni. E lo schema, con più o meno vittime e colpi di scena, si ripete incessantemente, condito da una buona dose di ironia e fatalismo. A parte qualche sequenza incongruente (come il distaccamento del treno con il furfante ammanettato che dovrebbe scomparire, e invece ritroviamo nel vagone dove continua il viaggio-odissea) questo poliziottesco sud coreano di Woon-Hak Baek si lascia vedere piacevolmente, soprattutto per gli amanti dell’action-movie, e riserva più di una sorpresa. Per esempio, l’uso spropositato che i coreani fanno delle nuove tecnologie: finora credevamo che i videofonini servissero solo a riprendere gli amici in vacanza, mentre qui scopriamo che possono essere messi a frutto per la salvezza dell’umanità. Scherzi a parte, la cosa più spiazzante (e per certi versi incomprensibile) resta il finale, che ovviamente non sveliamo, dove improvvisamente capiamo cosa significhino le sibilline parole iniziali pronunciate da Kay: «Tutto nella mente svanisce, solo il ricordo è indelebile».
di Beatrice Nencha