Chi aveva apprezzato già Valentin, sa come il regista Alejandro Agresti tratta le persone e gli avvenimenti della sua martoriata terra natale: con struggente tenerezza e malinconia. L’Argentina ha avuto un passato prossimo a livello politico ed economico a dir poco tragico, ma Agresti vuole proprio sfatare questo infinito dramma con la forza dei sentimenti, la bellezza per le piccole cose. Il film racconta una dolorosa realtà familiare: Isabel (Monica Galan) scopre che il marito creduto morto da oltre vent’anni, in realtà vive in un piccolo paesino ai confini con la Patagonia. Inizia il viaggio insieme alla figlia che non ha mai conosciuto il padre, in un misto di speranze e di litigi con la giovane donna, nevrotica e segnata da questo forzato abbandono. Raggiunto, scoprono che l’uomo chiamato Cholo (Carlos Roffe) ha perso la memoria, fa il fornaio e sembra accontentarsi di sopravvivere. Nonostante gli avvenimenti, tutto è ovattato, Isabel è imprigionata tra i ricordi e la voglia di ricominciare, ma la sceneggiatura non cade mai nel patetico e i personaggi hanno una tenuta incredibile, grazie alla bravura degli attori. Non mancano le dolenti note: i contrappunti musicali da melodramma strappalacrime, il minimalismo compiaciuto che non mette mai in risalto la storia del paese (siamo proprio sicuri che le giovani generazioni sappiano cosa abbia rappresentato il peronismo e poi le dittature militari, e la totale recessione economica degli ultimi anni?). La figura di Cholo poteva essere trattata con maggiore coraggio, senza indulgere in una autocommiserazione che almeno, inizialmente, lo spettatore non capisce fino in fondo (è contrariato dalla presenza di Isabel? Non la ricorda affatto, com’è nella realtà?). Il lieto fine sembra un augurio troppo scontato e complessivamente il film ne risente.
di Vincenzo Mazzaccaro